PENSAVI CHE I MUSEI FOSSERO LUOGHI DI RACCOGLIMENTO? SBAGLIATO!
Il titolo “Stendhal Syndrome” degli Idles presente nell’album Brutalism è in grado di dirci quanto tutte le volte che si tocca l’arte contemporanea si prova un leggero capogiro!
Ma procediamo con una breve e necessaria premessa. La psichiatria ha coniato l’espressione “sindrome di Stendhal” per riferirsi alla condizione psicofisica di un autore francese del XIX secolo che aveva descritto come si sentiva di fronte ad alcune opere d’arte. Questo tizio diceva di sentirsi “travolto” soprattutto dalle opere d’arte del Rinascimento e che la cosa gli era successa infatti durante un suo viaggio a Firenze. Dopo di lui, (al secolo Marie-Henri Beyle, ovvero Stendhal, anno domini 1817) molti scrittori e filosofi cominciano a parlarne e così, un po’ per scherzo un po’ per spirito di ricerca, il capo della sezione psichiatrica dell’Ospedale Santa Maria Nuova di Firenze (la dottoressa Graziella Margherini), comincia a pubblicare una serie di casi dettagliati di oltre 100 turisti colpiti dal “male” tra il 1977 e il 1986. Malori avvertiti spesso subito dopo aver visitato la famosa Galleria degli Uffizi o alcune opere d’arte incrociate per caso. Gli individui in questione dicevano di aver sperimentato sintomi di ansia prominenti tra cui tachicardia, vertigini e sincope, con sintomi affettivi o psicotici, come desiderio di urlare, di abbandonarsi ai tremori, senso di vertigine e brividi! La conclusione a cui arriva la scienziata fiorentina, è che la condizione spesso associata a questa reazione profonda alle opere d’arte è (ovviamente) la presenza di un disturbo psicologico latente.
Titolo e video quindi, sono molto significativi e potrebbero raccontarci molto dello stato di salute mentale della band! Da un’intervista trovata da qualche parte sul web infatti, leggiamo che il testo si riferisce all’esperienza del cantante Joseph Talbot in una galleria valenciana, che lo ha reso sbalordito e afflitto. “Affascinato fino alla nausea” – dice – e dunque curioso al punto di andare a cercare nella letteratura medica cosa lo avesse fatto stare così male e ancora scosso dall’evento, compone il testo come un vero e proprio manifesto del mal di arte!
La conclusione a cui arrivano gli altri della band sono però di tutt’altra entità! Ad esempio, il bassista degli Idles Adam Devonshire dice, che la quantità di emozioni alterate e di pregiudizi che sentivano venir su di fronte ad alcune opere d’arte, più che segni evidenti della sindrome, potevano forse giustificarsi con i litri di gin ingurgitati la sera prima!
Comunque sia andata, ecco cosa succede nel video. In pieno stile post-punk, la traccia è danzata dal bassista in modo buffo e scoordinato, rivolto verso la telecamera mentre questa inquadra alle sue spalle le opere d’arte, presenti in alcune delle gallerie e musei più prestigiosi di Londra. Gli scenari sono riconoscibili: la Tate Britain e la National Gallery tanto per dire le più famose.
Il testo che sentiamo mentre assistiamo a questa ridicola messinscena si scaglia contro ogni genere di rifiuto ignorante. Sì, quello stesso che fa dire: “io nell’arte contemporanea so solo di non capirci niente!” Oppure l’altra frase di solito detta insieme alla prima che suona tipo: “lo potevo fare anch’io”! Questi slogan detti di solito col sorrisino sulle labbra vogliono far intendere che l’intelligentone di turno ha capito immediatamente il bluff dell’arte contemporanea e che a lui non lo si frega! In realtà, in pochi si accorgono che è stata detta una banalità gettonata e diffusissima, specie tra coloro che – dice il testo – sono pieni di “aria calda”.
Queste critiche puerili sono rivolte ai capolavori di Rothko, di Bacon o di Basquiat inquadrate proprio mentre il bassista sta avendo una sindrome di Stendhal fatta praticamente di ridicole coreografie danzate.
Hai visto quel quadro? Sembra fatto da un bambino di due anni” è solo una di queste critiche da quattro soldi presenti nel testo. C’è chi suppone che queste “performance” siano state realizzate senza alcun tipo di permesso e a rischio denuncia, ma quel che arriva a noi è che quei luoghi sono davvero molto vivi!
Le gallerie d’arte, in generale, tendono ad essere luoghi abbastanza tranquilli. Luoghi in cui cogliere silenziosamente opere di pittori contemporanei. Di solito, ciò che richiede la situazione è un atteggiamento serioso e una mano premurosa appoggiata sul mento, che poi significa che stanno pensando senza emettere nemmeno un bisbiglio.
In viaggio per le gallerie di Londra invece, quel che ci mostra il video è la vita vera. Quella degli altri visitatori che si scansano o che non si accorgono di ciò che sta succedendo! Il video però a quanto pare, non ci fa vedere le parti dove chitarrista e bassista pisciano davanti a un totale di 91 opere d’arte! Sempre a detta del bassista in un’altra intervista, nella quale conclude che per questa sfacciata sindrome di Stendhal “il gin era necessario”, ma che se qualcuno è interessato, lui è disponibile per lezioni di ballo di questo tipo. Chissà, magari c’è margine per un piccolo businnes!
“Questa è una canzone per celebrare l’arte, per celebrare qualcosa che ami e per celebrare l’accettazione che tutte le cose che ami potrebbero essere una merda per il tuo prossimo”, ha aggiunto Joseph, “ma va bene perché tutto è amore” conclude. A meno che tu non sia proprio un cretino! Di quelli – verrebbe da dire – con troppa aria calda nella testa.
IDLES. Joseph Talbot. 2017.
Giusto cosi cara Matilde per mettere la Krisis al centro della incertezza!
Il video è spassoso quanto basta per rendersi conto che più che una risposta alla Krisis, questo è l’unico modo per sovvertire e contrastare uno stato di cose davvero troppo obsoleto!
Insomma, quel coraggio dada là!
grazie
Matilde