REPETITION / MAX COOPER (KEVIN MCGLOUGHLIN)

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LA RUOTA ESISTENZIALE DI REPETICTION.

Il Samsara, senza farla tanto specifica, in sanscrito significa “scorrere insieme”. Nelle religioni indiane indica il ciclo continuo di vita, morte e rinascita. Viene raffigurato come la ruota dell’esistenza che gira senza fermarsi mai: la ruota del Samsara.

Il Samsara è anche “l’oceano dell’esistenza”, un gigantesco e asfissiante contenitore materiale impregnato di dolore, di fatica e della sofferenza di essere lontano dalla verità. Il Samsara è indicato come il mondo dell’illusione.

Inabissati in questa nebbia ingannevole, viviamo afflitti dall’ignoranza, costretti a ripetere e ripetere e ripetere e ripetere le nostre esistenze intrappolati nell’incoscienza più profonda.

E siamo qui a ripetere migliaia di gesti sempre uguali, parole sempre identiche accompagnate da pensieri tutti in fila che fanno il cerchio completo per ripartire da capo. Siamo pieni di dinamiche, di tic, di nevrosi. Ripetiamo i nostri passi, le nostre scelte. Le nostre vite sono l’eco delle vite che abbiamo già vissuto e tutto ci assale e tutto ci ingombra e tutto ci riempie in una bulimia di falsa realtà e ci difendiamo nell’unico modo che conosciamo: rinunciando più velocemente possibile a noi stessi lasciandoci andare alla corrente che, così, fa meno male.

La ripetizione ossessiva di cellule sonore. Piccole variazioni che danno evoluzione al brano ma trattenendolo ben saldamente incollato ad un centro e questo centro, come anelli concentrici, si ripete costantemente, si sdoppiano scindendosi da sé, moltiplicandosi, crescendo proporzionalmente ma in fondo, rimanendo invariato.

La ripetizione del tempo. La ripetizione della quantità. Il moltiplicarsi in milioni di sé stessi per ripetere milioni di volte gli stessi gesti, le stesse scelte, stesse vincite e stesse perdite. Il Samsara.

In qualche modo Max Cooper, con questo brano, è un’erede (forse involontario ma non credo) dei minimalisti della prima ora alla Terry Riley di “A Rainbow in Curved Air” (1969) e il Philip Glass di “Music With Changing Parts” (1971).

Ossessive ripetizioni di frammenti musicali che tentano di intervenire sulla psiche perché esistessi eredi della musica orientale meditativa e ipnotica.

Repetition sta su due piani contemporaneamente ipnotici.

Il primo, quello visivo reso dal video artista Kevin McGloughlin, che in modo impressionante ci riempie oltre il contenibile di immagini, di sistemi modali che replicandosi nella nostra retina ci fanno finalmente apparire astratto ciò che di solito definiamo reale, ciò che di solito riconosciamo come normale.

Il secondo, quello musicale di Max Cooper ci culla e ci porta ad un livello sensibilmente più profondo che, con suoni anìchewssi replicati, ci fa finalmente apparire intangibile ciò che di solito definiamo corpo, ciò che di solito riconosciamo come percepibile.

Se ci si lascia convincere e confondere allo stesso tempo da questo video, iniziamo a vederci rappresentati come insetti da studiare, come un virus che riempie tutto l’ambiente e lo condiziona. Ci mostra piccoli, fastidiosi, troppi. Ci offre una visione delle nostre fragili esistenze con distacco, quasi con ribrezzo, essendone esenti per un istante.

Vediamo il nostro tempo che sfugge, il senso che si perde, l’esistenza che si sfilaccica.

E la ruota delle illusioni accelera e accade sempre più frenetica, finché le immagini si confondono, diventano non più percepibile: è in quell’astrazione dell’ultimo frame che c’è la speranza del Nirvana.

Max Cooper. Kevin McGloughlin. 2020

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