TOCCARE IL FONDO.
Per esaltare il drammatico sound e il testo di Apparat, Matilda Finn spinge l’acceleratore sul concetto di dipendenza, perdita di coscienza e ricerca spasmodica di nuovi equilibri,
attraverso una storia che procede in modo ansiogeno tra migliaia di scatti fotografici pieni di dolore (anche se subliminalmente ogni tanto si insinua la felicità), pasticcume color rosso ingurgitato, giovani volti segnati, in cerchio in sedute terapeutiche, antiche iconografie, il tutto inframmezzato da una narrazione asincrona e disturbante (solo per pochi attimi dà tregua allo spettatore) con protagonista un ragazzo a torso nudo steso sul pavimento in preda a convulsioni e allucinazioni ricorrenti, nelle quali è inseguito in un bosco notturno da tre pastori tedeschi inferociti, che alla fine lo raggiungono azzannandolo con furia; ma il fondo è stato già toccato, il peggio è passato e il volto sorridente del ragazzo stranamente si illumina di un’espressione di “beatitudine”, come risvegliato da un incubo o da una angosciosa crisi (mentre i cani fuggono via).
APPARAT. MATILDA FINN. 2019.
