UNA FESTA NOTTURNA FIN TROPPO CALDA.
Festa notturna in giardino per pochi (forse) partecipanti. Che ci fa un energumeno in camicia rossa che seduto accanto a una piccola tv, scandisce maldestramente il ritmo coi pugni su un tavolo da picnic? E ancora che ci fa al suo fianco un punk crestuto, con birra in mano che scandisce il ritmo (di rullante e grancassa) dondolandosi precariamente su una sedia?
Che ci fa un giocatore di football americano che si allena correndo sempre sullo stesso posto (simulando l’andamento del charleston) mentre gli passa accanto una procace biondona che si metterà in topless e mugolare spasmi erotici?
Tutto intorno, nella confusione si intravedono le macerie di un party sempre più delirante, tra ettolitri di alcol, risse e continue intrusioni di gente/cameo sbraitante o collassata sul prato, barbecue in fiamme e chissà quant’altro ancora, difficile da cogliere di primo acchito; mentre il brano di Lynch, un blues febbricitante, prende forma attraverso l’inconfondibile mano del regista stesso, e riesce a dare un senso “compiuto” al caos rappresentato e alla coazione a ripetere, come una sintesi della sua visionaria poetica.
Un vizioso strabordare di immagini su immagini, il perdurare di un’ossessione voyeuristica (lo stesso Lynch compare in un monitor enunciando passo per passo con la sua voce cantilenante, ciò che si sta consumando in quel giardino dell’alterazione) e il gusto per una certa inclinazione verso lo smarrimento del sè, convergono gradualmente in una specie di ritualità mantrica borderline, restituito da un editing sovraccarico e complesso, ricco di autoreferenzialità cinematografiche.
DAVID LYNCH. DAVID LYNCH. 2011.