NOTTE LETALE A L.A.
Si sa che, fra le caratteristiche comuni a molti serial killer, non è raro riscontrare un’intelligenza superiore e soprattutto un fascino fatale, spesso subdolamente utilizzato come arma per avvicinare vittime ignare. Ma ci sono anche casi in cui l’aspetto di un pluriomicida non ispira facoltà mentali elevate né tanto meno trasuda una qualche armonia estetica, ed è proprio questa categoria che interessa il regista del video Todd Cole. Il protagonista è un uomo banale: sui sessant’anni o poco meno, non molto alto, sovrappeso, occhialuto, silenzioso, probabilmente scapolo e incline a poco rassicuranti atteggiamenti maniacali, che siano le lievi carezze agli abiti plastificati della sua lavanderia o l’attenzione ritualistica con cui si veste e si concede una manicure serale. Non è il genere di persona con cui smanieresti per passare una serata piacevole, ma è pur vero che l’apparenza inganna molte volte. Non sembra il caso di questo inquietante ometto, che se ne esce a bordo di un furgone bianco nelle notti di Los Angeles scrutando i passanti che incrocia per le vie semideserte o nei parcheggi vuoti. Come ogni bravo “collezionista” di corpi, con l’efficienza e la buona lena che il Tom Sixx di The human centipede II e il Lars Von Trier de La casa di Jack ci hanno rappresentato sul grande schermo, il nostro coglie di sorpresa giovanotti a caso, li mette KO col cloroformio e, come un ragno insaziabile, li impacchetta per bene nel cellophane lasciandoli soffocare (e si arrabbia pure se non muoiono alla svelta!). Un predatore silente ed efficace, di cui seguiamo le nefande gesta con lo stesso senso di impotenza con cui potremmo guardare un documentario di National Geographic, là in quella spaventosa radura urbana che è la metropoli della East Coast, fra i riff ossessivi dei sintetizzatori dei Liars. Ma questo è solo un video, è fiction, e restiamo in trepidante attesa di una rivalsa degli innocenti, un lieto fine di quelli che ci fanno affondare nel sedile del cinema sospirando risollevati. E quando una preda riesce effettivamente a scappare non sembrano esserci dubbi in proposito: un cartello riporta persino la parola “end”. Sì, c’è anche un’altra scritta appena sotto, ma dev’essere irrilevante.
Siamo alla resa dei conti, e sembra pure scontata: come potrebbe un omuncolo fuori allenamento sopraffare un ragazzo aitante con la metà dei suoi anni? E con la stessa feroce ironia di un Michael Haneke in vena di burle, l’autore trucca la partita durante l’ultima scena, propinandoci un plot twist da film horror che farebbe quasi sghignazzare se non fosse tanto straniante e inaspettato, roba degna del Dr. Phibes di Vincent Price. Ed è allora che capiamo il senso di quell’arcana postilla che completava l’indicazione “end”: è finita, “ma non si può andare da nessuna parte”.
LIARS. TODD COLE. 2012.