QUEL POCO CHE RESTA.
Dal buio totale prende vita un piccolo fascio luminoso che roteando lentamente su un braccio meccanico, crea un virtuosistico gioco di ombre e mette in risalto lo scheletro geometrico di alcune teche in cui sono collocati gli ultimi residui di una vita vissuta. Un roteare ipnotico attorno a una sfera, allude alla terra? Una maschera mitologica che si staglia virtualmente dallo sfondo e poi ancora, i particolari di rami bruciacchiati, di fiori appassiti, farfalle cristallizzate e figure umane che si esfoliano delicatamente al passaggio della luce.
Un museo idealizzato in cui è possibile scorgere un barlume di natura protetta nei chiaroscuri degli ambienti e scansionata da una roteazione gentile che sembra preservare ancora la fragile struttura organica degli oggetti sospesi “sopravvissuti”, tra figure geometriche e forme fluenti.
Una rappresentazione in bianco e nero a metà tra reale e virtuale, quasi chirurgica, che restituisce una visione pessimistica del futuro, pur mantenendo un’aurea di illusione o sospensione onirica, perfettamente aderente con le linee melodiche e le parole malinconiche di James Blake e Bon Iver, che alludono all’impossibilità di isolarsi e ignorare l’istinto distruttivo e miope della civiltà contemporanea.
JAMES BLAKE ft BON IVER. CHRIS DAVENPORT & MATT CLARK. 2016.