WITH YOU/SAM VON HORN (LACHLAN TURCZAN)

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TEMPO, VISIONE E AFTER EFFECTS.

All’inizio è solo un luogo che dà un’immagine. È l’immagine di un mare e poi è quella di un corpo femminile che danza e che immediatamente dopo si moltiplica. Ora sono un mare e due corpi, poi quattro e poi multipli di sé stesso all’infinito o comunque, prima che la telecamera allarghi la visuale e poi la restringa a singoli elementi di quel corpo ancora una volta ripetuti, reiterati e poi trasformati in multipli equidistanti. Tutti con la stessa identità in un continuo manipolare le riprese in pura astrazione. Un corpo e un luogo che pur essendo identici a ciò che riflettono a me però sembrano diversi.

Quel corpo infinito, proprio in ragione di questo sovvertimento del tempo mi sembra un altro. Ne vedo solo la parentela. È una specie di manifestazione di mille identità che, forse per via della trasformazione cui è sottoposto in quanto corpo, sembra l’espressione metaforica del mutamento perenne e del bisogno umano di rinnovare continuamente il significato del gesto.

 Insomma, lavorando in collaborazione con i co-registi Joey Blue e Gil Wallace, il video artista Lachlan Turczan mi conferma che è sempre così: la lezione dello specchio mostra che ogni immagine non solo ha uno speculare ma annuncia l’evidenza del nascosto. Qui l’immagine del corpo può addirittura perdersi nel nascosto di quel tutto moltiplicato e riemergere sotto forma di singolo braccio o di semplice ondulazione della chioma dichiarando così una volta per tutte che non è vero che dietro tutto ciò che si vede, sia possibile leggere sempre qualcosa.

Sono costretta ad accettare che tutto quel che riguarda il visuale e quindi ogni esperienza fatta coi miei occhi, (che mi ostino a chiamare genericamente immagine pensando per lei supporti e spazi), sia alla fine solo una questione di tempo. Ogni esperienza visuale che sperimentiamo nella nostra vita cioè mi sembra che sia il risultato di un montaggio di tempi sempre più plurali. Montaggio di tempi composti da un passato e da un presente che messi insieme diventano assolutamente imprevedibili.

Insomma, ancora una volta mi trovo nella condizione di vedere che non ci sono discipline specifiche deputate alla produzione di immagini, ma al contrario è l’immaginario stesso che preme dall’interno di ogni disciplina, di ogni arte e infine da ogni settore del sapere per raccontare sé stessa con altre parole.

Stiamo arrivando a vedere le immagini liberate dagli impedimenti biografici e storici, uniche possibilità che avevamo in passato per spiegare le immagini?

Mi chiedo se quel che stiamo facendo sia una spinta al confine delle nostre conoscenze, una specie di metasapere che ci porterà all’ossatura di ogni sapere o se ci perderemo nel gioco fine a sé stesso.

Mentre aspettiamo la risposta, facciamoci forti del fatto che all’interdisciplinarietà è sempre stato indispensabile la scoperta del transdisciplinare. Forse possiamo cominciare con un “semplice” videoclip.

Sam Von Horn. Lachlan Tusczan. 2018.

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