NOTURNO 150 / HEAVY BAILE (DANIEL VENOSA)

VIDEO ARK ||| Recensioni Video Musicali

PICCOLO TRATTATO DI ANTROPOLOGIA VISIVA.

La mia necessità di collocare questo video nel cuore del mio scaffale di libri di antropologia visiva si giustifica con l’interessante riflessione di natura filosofico-esistenziale che Heavy Baile e il regista Daniel Venosa propongono.

Non è raro incontrare su Video Ark, opere del genere, ma questo mi sembra che traduca le linee guida di un piccolo trattato di antropologia culturale davvero prezioso, laddove ci invita a vedere la vita come un viaggio nel quale le transizioni all’interno della coordinata temporale sono da interpretate come tappe.
È insita in questa visione che permette al danzatore di attraversare i tempi entrando nei quadri del Metropolitan Museum di New York l’idea di sviluppo, accompagnata ovviamente anche da quella di apprendimento.
Il viaggio individuale nei paesaggi della storia dell’arte occidentale si riveste di importanza per come sono immediatamente evidenti l’evoluzione e le caratteristiche fisiche degli esseri umani, i comportamenti, le reti di relazioni sociali, gli usi e i costumi, le istituzioni politiche; le ideologie, le religioni e le credenze; i modi di produzione e ovviamente  le relazioni di potere.   Dunque non è tanto per quel che il danzatore fa all’interno dei quadri, quanto per il come lo fa. La sua danza espressiva, etnica in pieno stile passinho foda, (tipico stile di danza delle favelas), ci invita a guardare l’uomo sotto il punto di vista sociale, culturale, filosofico religioso e in definitiva nei suoi comportamenti all’interno di una società.

Il danzatore Ronald Sheick si fa emblema all’interno di una cornice storica collettiva (ma europea e occidentale) che racconta il chi siamo stati e quale concetto di libertà d’espressione abbiamo avuto nel corso dei secoli prima della decolonizzazione.
In questo abbraccio di opposte interpretazioni sul concetto di tempo libero le immagini sono quelle delle ballerine di Degas, i paesaggi di Courbet, quelli di Turner, di Giovanni Paolo Panini, di William Sidney Mount e di mille altre opere su tela tra il XVII e il XIX secolo.

Perfezionando maggiormente la mia motivazione a guardarlo non solo come un videoclip, posso dire che dell’antropologia mi ricorda l’attenzione verso il comportamento umano in situazioni di rappresentazione (come si dice) organizzata, esattamente come accade ad un quadro. Inoltre, con una premessa del genere, in campo semantico e con particolare riferimento, se non quasi unico, al danzatore, mi sembra che sia necessario sottolineare due aspetti del lavoro. Da un lato, la personalità del danzatore, la sua sensibilità, la sua intelligenza artistica, la sua individualità sociale, che rendono ogni suo “approdo” all’interno del quadro unico e irripetibile. Dall’altro lato, la particolarità della tradizione e del contenuto storico-culturale attraverso cui la personalità del danzatore si manifesta ci dice moltissimo e in un lasso breviiiissimo di tempo.

Questo è il gioco dello spostamento, del viaggio cioè, che ci permette di cercarlo con lo sguardo per individuare noi stessi attraverso il confronto con ciò che sperimentiamo come altro. Lo spaesamento si sa, educa sempre lo sguardo alla partecipazione e al distacco in modo da gettare nuova luce anche su ciò che consideriamo il nostro contesto.

La cosa interessante insomma, è che alla fine del video hai la consapevolezza che quanto appartiene alla nostra tradizione e che ci appare come ovvia realtà possa, invece, da un momento all’altro rivelarsi un nodo di problemi inesplorati.

HEAVY BAILE. DANIEL VENOSA. 2020.

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