SOLITARY MAN.
Camera fissa, l’accigliato Brother Dege seduto su una poltrona rossa alza lo sguardo e ci scruta torvo, dietro di lui una bandiera a stelle e strisce poggiata su un muro scrostato.
Gli arpeggi di chitarra si liberano lentamente nella stanza, mentre il bluesman americano suona, adagiato su un letto spoglio e si guarda attorno; ad ogni accento sulla corda, muta l’angolo visuale della stanza, dei dettagli degli arredi e delle decorazioni sulle pareti di un tempo passato, tra farfalle rinsecchite, una testa di cervo e vecchie foto impolverate.
Mentre Brother Dege non si accorge di nulla, ogni oggetto sembra che voglia riconquistarsi un’anima, l’armadio bianco e il portafiori, la gabbia dorata sospesa, il comodino con sopra una volpe impagliata, le tende, la lampada, la chitarra classica poggiata al muro, i separè e le ante si schiudono al contatto di mani che affiorano e sfiorano le superfici, che ruotano e si toccano delicatamente come per recuperare sensazioni spente chissà da quanto, alla ricerca di un contatto vero, con una presenza viva.
Colin Read, ci ospita in una clip dalla quale è impossibile distogliere l’attenzione per ciò che
lentamente si anima con velata sensualità, attraverso allusioni metaforiche che rimandano a un permanere di un passato non del tutto spento, che tende a ritagliarsi un posto tra le pieghe della memoria.
BROTHER DEGE. COLIN READ. 2018.