UNA METAFORA VERSATILE.
Il bello delle metafore sta nel decifrarle, ma quando il senso di una metafora viene esplicitato con troppa facilità, e senza altre decodificazioni possibili, è difficile distinguerle da banali indovinelli in veste poetica. È molto più stimolante trovare immagini che celino significati molteplici, variegati, collegabili tra loro attraverso snodi semantici e simbolici di cui forse neanche sospettavamo l’esistenza.
Il video di Martin Garde Abildgaard risponde per l’appunto ai suddetti requisiti.
Un giovane uomo che vive da solo in una casetta sperduta nel verde riceve per posta una misteriosa busta; al suo interno trova un grosso seme. Come un novello Jack col suo fagiolo magico, il nostro interra lo strambo legume in un vaso e, dopo una notte di attesa, accade il miracolo: il vaso è in frantumi, e sul tavolo su cui era riposto giace in posizione fetale una donna fatta e formata!
Questo pigmalione botanico si prende amorevolmente cura della sua nuova compagna: la veste, la accarezza e la adagia delicatamente su un praticello artificiale che conserva nel suo salotto. Un vero e proprio tappeto d’erba di due metri quadri d’ampiezza, illuminato dalla luce solare che filtra dalla finestra, messo lì come se quell’arrivo fosse già stato previsto.
Ma qualcosa non funziona come dovrebbe: la donna è del tutto inerte, incapace persino di sorridere se il suo partner-giardiniere non le solleva gli angoli della bocca, neanche in grado di mandar giù un bicchiere d’acqua. Destinata a soccombere, insomma.
Allarmato dalla tragica prospettiva, il ragazzo trascina fuori di casa quella povera pianta di carne, tenta di piantarla nel terreno come si farebbe come un albero, dalle ginocchia in giù. Ma è troppo tardi. O forse semplicemente inutile. Lei è morta.
In lacrime, il signor “Jack” reca il cadavere su una radura erbosa, dove lo attendono decine di altri corpi femminili, tutti vestiti allo stesso modo, tutti del medesimo aspetto. Quanti tentativi, quanti fallimenti!
E il giorno dopo un altro seme identico viene recapitato presso l’abitazione dell’uomo. Ma è giunto il momento di cambiare, un’ennesima perdita sarebbe inaccettabile: sì, questa volta andrà diversamente.
Sui suoni eterei della voce di Roxy Jules, qui cantante per il DJ e sperimentatore Thomas Bertelsen (sotto lo pseudonimo di TOM and His Computer), le suadenti inquadrature del filmmaker danese si caricano di allegorici onirismi, incantevoli e in qualche maniera sinistri.
Alla stregua di un disegno del test di Rorschach, il video si apre a chiavi di lettura diverse tra loro, ma sostanzialmente sovrapponibili, allusivamente equidistanti, ottenendo in questo tiro alla fune di analogie e speculazioni interpretative l’arcano effetto del perturbante.
Possiamo vedervi un uomo afflitto dalla solitudine e dall’insicurezza, che non riesce a relazionarsi con l’altro sesso, e che si vede costretto a ricorrere a un surrogato, a quella “donna ideale” che tuttavia vive solo nei suoi sogni (e forse non è un caso che molti dei flash che inframmezzano la narrazione sembrino provenire direttamente dal subconscio del dormiente protagonista). Un po’ come faceva Ryan Gosling in Lars e una ragazza tutta sua, traslando il discorso verso il regno vegetale.
Oppure potremmo scorgervi la cupa parabola di una relazione tossica: la possessività maschile, l’oggettificazione del gentil sesso e l’insalubre rapporto di coppia portano spesso – troppo spesso – al più funesto degli esiti.
E se invece il tutto fosse un grido di accusa ecologista contro lo sfruttamento di Madre Natura da parte dell’uomo? Il desiderio di controllarla, addomesticarla. Il bisogno di sentirla sua, di farla sua. Ma ogni sforzo si rivelerà vano, e un comportamento così egoista e sconsiderato non potrà che avere drammatiche conseguenze.
Gli amanti dell’horror potrebbero addirittura percepirvi un ciclo purgatoriale degno del film Triangle di Christopher Smith: il rimorso o il rimpianto di un’anima in pena, costretta a rivivere gli stessi errori del passato in un loop interminabile, accumulando le sconfitte e subendone il dolore ogni volta. Che la donna dai capelli lunghi che si scorge in un breve lampo a metà video sia parte di un ricordo? Potrebbe trattarsi dell’unica donna che Jack abbia mai amato? Il processo di accettazione di un abbandono, o magari di un lutto, è in fondo un percorso tortuoso, che talvolta rifugge le leggi della razionalità.
Certo è che quel finale a sorpresa, quella scelta estrema di ingerire il seme muliebre anziché piantarlo in un vaso, suggerisce una forma di dialettica assai più intima, che pizzica le corde segrete dell’individuo e dell’identità sessuale. Vivere contemplando un desiderio che non si può esprimere ad alta voce; tenere il proprio io con sé, sotto chiave, lontano dalle incomprensioni del mondo esterno; illudersi che questa insana convivenza, esile come un giunco, mendace come un artefatto, possa bastare a entrambi. E infine avere il coraggio di accettarsi, di assimilare la vera essenza di sé, coricandosi speranzosi al tepore di un raggio di sole che la faccia sbocciare.
Una teoria tira l’altra, e ciascuna fa parte dello stesso disegno, della stessa poliedrica apparenza. Be’, tutto sommato si può anche silenziare il cervello e lasciarsi trasportare dall’ipnotica finezza delle immagini. Ain’t no crime!
TOM AND HIS COMPUTER (FEAT. ROXY JULES). MARTIN GARDE ABILDGAARD. 2020.