APESHIT/ THE CARTERS (RICKY SAIZ)

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QUANDO DIVENTIAMO CARNE E MUSEOGRAFIA

Tutti sanno che i musei non sono più templi di valori universali ed assoluti, ma oggetti metastorici (come dicono i colti) che sono stati ritagliati come figurine dal contesto della loro produzione e dai rapporti di potere colati come cemento nelle loro fondamenta. Questo significato, diciamo “classico” di museo mal si associa all’attuale Louvre che non ha il solo compito infatti di accumulare tutto il capitale simbolico delle élites tradizionali ma lo scopo ben più moderno di creare ponti fra le varie attività intellettuali e quelle popolari. È così che i musei in genere ma il Louvre in particolare, hanno cominciato ad abbracciare tutte le espressioni e le testimonianze della cultura umana in nome del fatto che anche i musei sono fenomeni culturali. Esattamente come un qualsiasi videoclip.

Meglio allora permettere di realizzarne uno ambientato nelle sue sale e danzato da due personalità fin troppo pop come Beyoncé e Jay-Z qui riuniti nel duo dal nome The Carters, in modo da permettere loro di mettere in discussione le vecchie e stantie imposizioni dei valori culturali più odiosi come quelli oppressivi, razzisti e quindi colonialistici.

I due, dopo aver preso in affitto l’intero museo hanno realizzato un video esagerato, sia per quantità di ballerini che per semplici modelli dalla pelle scura, posti a muoversi di fronte alle opere che segnano la storia occidentale sottolineando così almeno due concetti che stanno alla base della moderna museografia. Il primo, che ogni museo – come qualsiasi altra forma di narrazione e di rappresentazione – incarna un modo particolare di fare e disfare i significati culturali. Il secondo, che ogni museo non è mai neutrale dal punto di vista politico, proprio perché in lui sono radicate ideologie che affermano, diffondono o legittimano la validità del loro modello di riferimento. Trovare quindi la coppia in posa davanti alla Gioconda o i danzatori stesi sotto la Nike di Samotracia o in prossimità della Zattera della Medusa non può che dirci che nella gestione di un museo – così come nella definizione dei significati che vogliamo dare a termini come arte, cultura, patrimonio e tradizione -, sono sempre in gioco relazioni di potere e quindi specifici progetti politici.

Non so se fosse esattamente questo il progetto dei The Carters ma se anche così non fosse, la crescente consapevolezza delle ricadute etiche di un qualsiasi museo ha di sicuro diffuso l’idea che se ne possa prendere uno enormemente conosciuto per una o più giornate di lavoro, in modo da cominciare a cambiare in modo radicale la funzione da sempre attribuita al museo quale luogo di paternalistica celebrazione della storia occidentale. Affittarlo per aprirlo invece a nuove istanze e attori sociali in modo da rendere possibile la decentralizzazione delle pratiche museali soprattutto a livello di gestione e di economia del museo. Nella pagina di Wikipedia dedicata a questo video si raccontano i premi, le lodi, i riconoscimenti e mille altri particolari e si insiste sull’incremento esponenziale di turisti under 30 che dopo aver visto il video sono andati forse per la prima volta al Louvre facendogli raggiungere solo nel 2018 il record mondiale di visitatori.

Il potere e i giochi di potere ovviamente non sono scomparsi e infatti non sto parlando di un processo di democratizzazione realizzabile da chiunque (non oso pensare alla cifra che hanno dovuto sborsare i due e nemmeno a quella dei biglietti venduti dopo), ma senza dubbio momenti come questi sono espressione di un forte rifiuto delle concezioni elitarie ed esclusive della cultura. Un rifiuto della gerarchizzazione artificiosa tra cultura alta e bassa e il tentativo (riuscito) di raccontare quanto Parigi sia una città intessuta da relazioni vissute, sia passate che presenti e che il Luovre è una realtà geografica o meglio uno specchio nel quale la nostra società può riflettersi e migliorare. Progetti che sono a mio avviso da guardare e ovviamente da ascoltare, con molta benevolenza.  

THE CARTER. RICKY SAIZ. 2018.

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