MR. TILLMAN / FATHER JOHN MISTY (JEFF DESOM & CARLOS LOPEZ ESTRADA)

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FORSE NON DOVREBBE BERE DA SOLO…

Buffa avventura, quella di Mr. Tillman, alias Joshua Tillman, alias Father John Misty: rubato al suo enigmatico torpore dal suono secco di un ciak, si ritrova alla reception del Mint Hotel, con valigia al seguito.

Particolare, questo hotel; soprattutto perché a suo interno si può ammirare un modellino dello stesso edificio, con tanto di miniature antropomorfe e macchinine apposte sulla strada attorno. Chissà perché, ma il nome di Stanley Kubrick e l’immagine di un labirinto di siepi affiorano magicamente alla memoria.

Ed è proprio il modellino ad attirare l’attenzione di Mr. Tillman, che nota sul piccolo tetto una figurina con le sembianze di se stesso! E sotto, sulla viuzza circostante l’albergo, un taxi, proprio di fronte all’ingresso.

Come catapultati all’interno di un mondo in scala ridotta, il buon Joshua si ritrova adesso fuori dall’hotel, valigia alla mano, ad attendere quel medesimo taxi, ammantato dal velo amorfo dello straniamento.
L’auto gialla si ferma e il cantante sale a bordo.

Strano viaggio, quello di Mr. Tillman: osservandolo dall’alto, chiuso in quel taxi, lo si potrebbe scambiare per il pezzo di un plastico che percorre il suo preimpostato tragitto su un binario elettrico. Ma tutto appare più concreto, e forse minaccioso, dal suo punto di vista: gli abitanti della suburbia e gli occasionali pedoni che lo incrociano sembrano gettare su di lui sguardi torvi e silenziosamente ostili.

Facce nuove, eppure sempre familiari; gente comune che compie gesti comuni, così naturali e così finti al contempo. Quasi come un film, come il set di una pellicola in fase di realizzazione, dove attori e comparse ripetono a oltranza le loro parti e mantengono inalterate le espressioni; pedine rassegnate e consce dell’infausto destino stabilito per loro da un regista senza volto.

O magari due: forse proprio Jeff Desom e Carlos Lopez Estrada, autori di questo beffardo videoclip.
L’incubo sintetico del Vivarium di Lorcan Finnegan incontra il mito del Truman Show di Peter Weir, e Mr. Tillman è involontario protagonista di tale spaventosa unione.

Dopo un futile giro attorno all’isolato, il taxi torna al punto di partenza. Il comprensibile sbigottimento di Joshua si trasforma in paura: il sedile dell’autista è vuoto! Ma le sorprese non finiscono mai, e all’improvviso piomba sul tettuccio del veicolo un corpo umano. A giudicare dall’impatto, dev’essere saltato da vari metri; a giudicare dall’aspetto, si direbbe proprio il nostro cantante.

Triste sorte, quella di Mr. Tillman: dopo essere sceso dal taxi e aver guardato in viso il suo stesso cadavere, assiste all’inaspettata resurrezione del “defunto” doppelganger, che balza al posto del guidatore e si improvvisa tassinaro replicando l’inutile corsa. L’originale Joshua, turbato e attonito, resta di fronte all’hotel.

Non resta che tornare dentro, firmare il registro per il check-in, dare un’altra occhiata al modellino in esposizione, e dirigersi verso la propria stanza. Peccato che oltre la porta assegnata non vi sia né letto né frigobar, ma il tetto dell’hotel. E tutt’attorno c’è il nulla. Il candido, ignoto, terrificante nulla di un limbo che si sviluppa in circoli spiraliformi, puntando agli abissi della follia.

Boom del microfono in campo: la voce del regista richiama il suo primo attore, il fonico aguzzino punzecchia la star una volta di troppo, e lo condanna a una rovinosa caduta sul taxi che sembra attenderlo dabbasso, con una chiazza di sangue già tatuata sul tettuccio. Insomma, da qui al Triangle di Christopher Smith il passo è breve.

Un Tillman precipita, e un altro scende dall’auto.

Il primo percorre in taxi la strada, lasciandosi dietro e davanti i vuoti cosmici di quel bizzarro purgatorio in loop, scorgendo gli orrori della vita di periferia, fra tragiche disgrazie e delitti coniugali, destinati a ripetersi all’infinito.
L’altro, invece, torna prevedibilmente presso la reception dell’albergo. Ancora una firma, prego: l’ennesima dopo decine e decine; ognuna di esse va deformandosi riga dopo riga, segnando un ulteriore livello di prossimità al traguardo dell’irrecuperabile insania.

Joshua Tillman, Tillman, Ill man… uomo malato…

Non c’è che dire: la pazzia è molto più divertente quando il metacinema ci mette lo zampino!

FATHER JOHN SMITH. JEFF DESOM & CARLOS LOPEZ ESTRADA. 2018.

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