FLARY / PRO8L3M (PIOTREK MATEJKOWSKI)

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IL GIORNO DELLA MARMORTA.

Gli anni passano, ma Ricomincio da capo di Harold Ramis continua a rappresentare il massimo esponente di quel filone cinematografico che tira in ballo loop temporali e poveri malcapitati costretti a rivivere a oltranza una determinata situazione.

La commedia del ’93, col mitico Bill Murray nei panni dell’improbabile eroe, ci ha insegnato a riderci sopra, a godere del paradosso di un circolo perpetuo e di tutte le lezioni esistenziali che se ne possono trarre.

Cionondimeno, bisogna riconoscere che simili premesse abbiano molto più in comune col reame dell’incubo e della tragedia, che non con la spensieratezza hollywoodiana. Secondo il mito, Sisifo fu condannato da Zeus a spingere un masso dai piedi di un monte fino alla cima, ma ogni volta che avesse raggiunto la vetta, il macigno sarebbe rotolato al punto di partenza. E così per l’eternità. Non è forse il più angoscioso dei destini (im)possibili?

Be’, non a caso una delle scene più divertenti del film era proprio quella in cui Murray, spossato dalla ripetitività e logorato dalla noia, tentava di suicidarsi nei modi più pittoreschi che gli riuscisse di pensare, finendo sempre col risvegliarsi nella sua stanza d’albergo di morte in morte.

Neanche staccare la spina della vita si rivela dunque una soluzione valida, ma solo l’ennesimo patetico tentativo di evadere da una galera fatalista e crudelmente beffarda.

Non è difficile credere che proprio a tale sequenza si sia ispirato il regista Piotrek Matejkowski, che per il brano del duo polacco Pro8l3m sceglie un frammentario excursus nel limbo della reiterazione.

Il protagonista del video si desta da un imprecisato stato di incoscienza, e lo fa per tre volte di fila; dopodiché entra in un bar lì vicino, e nuovamente replica l’azione per tre volte; e incontra tre volte le stesse persone; beve tre drink; tre, e ancora tre, e ancora tre…

Ciascun evento è leggermente diverso dal precedente, come se tre piani temporali appartenenti ad altrettanti universi alternativi (qualcuno ha parlato di Sliding doors?) si siano sovrapposti e intrecciati fra loro, con differenze minime ma evidenti.

Lo spettatore osserva l’azione nella sua continuità spezzettata, sotto l’influsso di un effetto-memento da giorno della marmotta, cercando di cogliere particolari negli abiti e nell’aspetto dell’uomo per riuscire a collocarlo in un ciclo rispetto a un altro.

Ma è facile lasciarsi distrarre dai dettagli e perdere così lo sconnesso filo cronologico. Il corpo del nostro amico si riempie di nuove ferite a ogni stacco di montaggio – da fori di proiettile a coltelli piantati nel ventre, da denti spezzati a tagli sulla testa – e nessuno dei frequentatori del bar sembra preoccuparsene.

L’enigmatica naturalezza con cui si svolgono i fatti acuisce lo straniamento orrifico dello scenario, facendoci deragliare i pensieri dai binari del flow narrativo.

E quando non ci riesce l’effetto shock, ci pensa lo sguardo di Zofia Wichłacz a destabilizzare il raziocinio!

Solo nel finale capiamo a quale estrema decisione condurrà la triste penitenza dell’uomo: salito sul tetto al locale, egli si getta di sotto, con svogliata rassegnazione, e ovviamente lo fa per tre volte consecutive.
Ma non prima di aver abbracciato il vuoto.
Ma non prima di essersi sparato a un fianco.
Ma non prima di essersi dato fuoco.

E tutto ci fa supporre che succederà di nuovo.
E di nuovo.
E di nuovo.

O forse no. Chi ci vieta di immaginare che una torcia umana lanciata furiosamente dentro il bar potrebbe dare una smossa a quell’insana stasi, colpendo al cuore il fulcro della maledizione, bruciando le fondamenta del suo tempio?

In fondo John Cusack ci era riuscito, con la camera 1408

PRO8L3M. PIOTREK MATEJKOWSKI. 2018.

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