SORPRESI DAL NONSENSE.
Allo svanire dei caratteri cubitali del titolo, in un corridoio compare una donna in camicia bianca che struscia volto e fianco lungo tutta la superficie di un dipinto monocromatico non ancora asciutto. Un ottimo incipit per immergersi in un’altra trovata weird-genialoide per mano dell’artista visivo californiano, in combutta con i conterranei Deerhoof, che per l’occasione hanno preferito un brano minimale ed elementare.
Una miscela di stranezze e cripticità sparse, viste attraverso lo sguardo distaccato, quasi asettico della macchina, su una serie di personaggi bizzarri coinvolti in altrettanto bizzarri sketch, tra il comico e l’autoriale, tra il ludico e il performativo, collocati in varie aree periferiche di San Francisco.
Tre uomini/pecorelle che fan finta di brucare, in attesa dell’ennesimo scippo, due giocatori visti dall’alto si contendono un drappo rosso in un singolare gioco di rubabandiera, quattro donne immobili osservano il vuoto, disposte in un quadrilatero sotto un cavalcavia, mentre le auto attorno sfrecciano al contrario, poi ancora, un uomo seminascosto in penombra, se ne sta in auto ad amoreggiare con due sedani (sic!) e nel finale, su un tappeto di suoni ossessivi, con un tocco di straniante visual art, Ericsson muove un paio di silhouette ipercolorate che si trascinano guardinghe in un cortile recintato (una prigione?) per poi svanire dietro a un muro di cemento.
Un’atmosfera surreale e sghemba che allude a qualcosa di sfuggevole ma che tuttavia racconta qualcosa in più rispetto a ciò che semplicemente si vede.
DEERHOOF. ANDERS ERICSSON. 2020.