LABIRINTICA ROUTINE.
Quando noia mista a insoddisfazione lavorativa prendono il sopravvento, ecco che l’equilibrio mentale di un solitario impiegato d’azienda, nel suo grigio ufficio, davanti alla sudaticcia tastiera e sotto lo sguardo vigile del ritratto del presidente (un labrador occhialuto) comincia seriamente a vacillare.
Il ritmo ossessivo, accompagnato dal mantra di “p-s-y-c-h-o-s-i-s” ed altre parole farfugliate e distorte, scandisce la misera giornata di un lavoratore appiccicato alla sua scrivania, che sbuffa e sbadiglia in balia del ticchettio ansiogeno degli oggetti sparsi che inesorabilmente misurano il tempo impiegato in ufficio e da lì la disperazione del tempo che rimane per poter scappare via.
Concetto più volte banalizzato e affrontato in tutti i generi e sottogeneri filmici dal muto in poi, qui il tour de force che il protagonista interpretato dallo stesso Gommi è costretto a sopportare, concentra tutta una serie di sketch e raccapricci assortiti, pescati alla rinfusa dal cilindro chapliano o keatoniano e riadattati con tecniche e trucchi più o meno cheap per l’occasione.
E così tutta la gamma di reazioni psicosomatiche si fa largo in un montaggio convulso e sincopato, psoriasi gommosa alle mani, cascate di sudore al volto, rovinosa perdita dei capelli con ferite al cuoio capelluto, caduta dei bulbi oculari, autolesionismo e istintivo sbattito dentale,
roteazione della testa e tanta altra violenza assortita.
E al momento della merenda, una fame pantagruelica porta il disperato protagonista ad azzannare di tutto, fino a quando, all’imperativo di una voce robotica di una lumaca, l’ambiente non si stravolge e l’anonimo ufficio si estremizza in una pocket discoteca.
Gli ultimi istanti di delirio, prima di abbandonare la stanza e tornare a casa.
Chissà come sarà la giornata successiva…
GOMMI. MAX SIEDENTOPF. 2018.