MONDO PATCHWORK.
In un enorme capannone di robivecchi, fra pezzi di modernariato, di arredamento e abbigliamento vintage, si nasconde un misterioso gruppo di autoesclusi dalla società che approfitta di attimi di distrazione del personale e dei clienti per agire furtivamente.
Ogni tanto, dalla montagna di stracci e scampoli sbuca una testa incappucciata o un braccio colorato pronto ad appropriarsi di altri oggetti all’intorno o addirittura rapire tutti coloro
che si trovano a portata di mano e farli sparire tra le corsie di grucce e vestiti in un’altra dimensione tappezzata da stoffe ipercolorate, dove, in stato di incoscienza saranno rivestiti letteralmente dalla testa ai piedi, di maglie e strisce di uncinetto; una nuova identità insomma, una nuova funzione decorativa e coreografica (a cura di Zoe Kim and Jona Tochet) tanto fantastica e carica di colori, da ricordare le opere dello scultore americano Nick Cave.
Ne viene fuori uno spettacolo con tanto di ballerini ingessati in maglie tra lo psichedelico e il tribale che fanno quasi tutt’uno con lo sfondo, un freakshow che commenta ed esalta la performance musicale dei Seventeen Evergreen, che mimetizzatisi tra gli altri, tra una strimpellata e l’altra, escono fuori come scarafaggi, approfittando del buio dell’edificio deserto, per usare impropriamente o distruggere tutto ciò che capita a tiro, o addirittura sgraffignare ogni oggetto per arricchire il loro mondo parallelo, in una sorta di frenesia ludica e spregiudicata che sembra la versione all’uncinetto del cult Clockwork Orange.
SEVENTEEN EVERGREEN. TERRI TIMELY. 2011.
