DEL DOLORE E DELLA NATURA.
Già dai secondi proemiali, ancor prima che la sua attenzione si posi sul contenuto della clip e sul significato delle immagini, lo spettatore prova l’irrefrenabile impulso di sollevare le mani ad altezza mento e di innalzare un tributo da novantadue minuti di applausi per la bellezza delle riprese.
I graffi, la sporcizia armoniosa, l’inimitabile grana della pellicola cinematografica, l’ineguagliata pastosità dei colori che vi vengono impressi: sembra davvero di ammirare un reperto del cinema arthouse degli anni ’70.
E se da un occhio scende una lacrimuccia di commozione per simile traguardo estetico, dall’altro ne piovono mille al pensiero di quanto appaiano freddi e inespressivi gli ormai dilaganti video girati in digitale.
Ma si sa, non si può fermare il progresso, e se i costi ridotti e la versatilità dei nuovi mezzi consentono ai maestri dell’arte visiva di dare forma alle proprie idee con più facilità e precisione, ben vengano le camere in 4K consumatrici di giga!
E parlando di progresso, chi mai avrebbe detto che Leo Leigh, la cui carriera registica è iniziata nel 2006 con l’orroraccio indipendente Loony in the woods – distribuito dalla famigerata Troma e redimito di un poster degno di una cartoleria la settimana di Halloween – sarebbe arrivato a firmare tale gioiellino filmico?
E sia chiaro: a livello di significanti, in questi quattro minuti e rotti di segmenti in slow-motion commentati dalla voce sublime di Thom Yorke dei Radiohead, qui col supergruppo The Smile, c’è relativamente poco di cui parlare.
In questa sede non si discute di stile narrativo o di ricercate allegorie, ma di pure e semplici sensazioni. L’apparente incoerenza del montaggio, che incrocia e alterna scene i cui rapporti di consequenzialità macerano nell’incerto, spezzettandole con primi piani tanto rapidi da sfiorare il subliminale, vanno a corroborare quell’incantevole clima di misticismo che traspare dai soggetti singolarmente mostrati.
In generale possiamo individuare tre tronconi principali.
Nel primo un ragazzo in preda a convulsioni di origine ignota viene placato e trattenuto da una sorta di guaritore. Non ci è dato sapere quali siano i demoni che tormentano il ragazzo, ma la sofferenza dipinta sul suo volto non è inferiore a quella che deforma i connotati del suo salvatore.
Nel secondo troviamo lo stesso santone, questa volta da solo, in piedi accanto a un albero. Mentre i volti dei suoi numerosi pazienti gli si proiettano sullo schermo della memoria, lo osserviamo contorcersi e disperarsi, lottare contro gli indicibili mali dello spirito che egli stesso ha curato, quasi rivivesse i traumi dei suoi interventi miracolosi. La purificazione, in fondo, non si ottiene mai senza passare dal dolore, e questo sembra valere tanto per le vittime dell’infezione quanto per il loro soccorritore.
Nel terzo, infine, il rito di pulitura si materializza in tutta la sua panica magnificenza: un grosso feticcio di legno – che per certi versi ricorda il figlioccio meno inquietante di The wicker man – viene bruciato in mezzo a una radura, mentre i partecipanti alla cerimonia vi stanno intorno meditabondi, sotto la guida infervorata del loro guru.
L’incontrastata onnipresenza della natura, la rimarcata posizione di sudditanza dell’essere umano nei riguardi di quel grande Tutto che è la Madre Terra, l’emancipazione dalle angosce quotidiane raggiunta a suon di bagni di fango e di movenze istintive dai sentori pagani: è questo il tipo di magia di cui il filmmaker inglese inietta la sua creazione.
Una magia dura e profondamente terapeutica, che pretende di essere presa sul serio. Insomma, molto lontana da quelle stucchevoli forme di edulcorazione New Age che troppo spesso Hollywood ci propina.
E ci lascia su una nota di malinconia la consapevolezza che, come la vecchia 35 mm, anche il rapporto dell’uomo civilizzato con Madre Natura è destinato a eclissare sotto la spinta incontenibile dell’innovazione.
È così. Non si può evitare.
Ma la bellezza di un tramonto non sfiorirà mai. L’importante è non dimenticarsene.
THE SMILE. LEO LEIGH. 2022.