PRESSURE ACTS / BIG YAWN (JOHN ANGUS STEWART)

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APPUNTAMENTO SUL RING DOMICILIARE.

Tutti sanno che la prima regola del Fight Club è non parlare mai del Fight Club. Chissà se anche i protagonisti del video di John Angus Stewart tengono amici e parenti all’oscuro circa le loro discutibili inclinazioni sportive.

In un appartamento vacante, probabilmente affittato per l’occasione, i due tatuati e testosteronici compagni si danno appuntamento per un peculiare incontro ludico. Il grave e virile abbraccio che si scambiano all’inizio conferma la consensualità delle loro gesta.

Neanche il tempo di liberarsi dalle loro giacche che l’incontro comincia: i due si attorcigliano e si immobilizzano vicendevolmente, rotolandosi sul pavimento in quella che si direbbe un’esibizione di wrestling fai-da-te, dall’aria invero un po’ patetica.

La violenza non sembra l’effettivo fine dell’azione: il ruolo di dominatore e quello di sottomesso si alternano nella coppia con una certa naturalezza e compartecipazione, fra corpulente strette reciproche e giravolte degne di una partita di “Twister” degenerata.

Ma l’intensità degli stiramenti di braccia incrementa al ritmo di uno stacco di montaggio alla volta, le spinte si acuiscono e la foga trionfale segna sempre più profondamente i volti dei due lottatori.
Fra prese per il collo e calci nei fianchi, lo stress fisico si fa strada attraverso le loro membra.

Un momento di respiro, cinque minuti di tregua…

Il crescendo strumentale degli ossessivi e marcianti riff dei Big Yawn passa alla “fase 2” in concomitanza col secondo round degli sfidanti. Li scorgiamo mentre si riscaldano a torso nudo, scagliando pugni a vuoto, nell’autoesaltazione di una mascolinità bisognosa di premure.

Ora lo scontro può riprendere, sotto il martellio dei sample elettronici, e la brutalità dello spettacolo s’infiamma considerevolmente: pugni in faccia, piedi sul collo, morse di braccia più tenaci, torsioni degli arti dolorose a vedersi, smorfie di sofferenza che deformano i visi.

Poi il sangue: il rosso delle emorragie copre l’inchiostro dei tatuaggi, mentre sorrisi scarlatti si aprono sotto i nasi martoriati. E niente di tutto questo devia dalle regole del balzano gioco in atto.

Alla fine del match, i due compari sfoggiano muscoli e cattiveria con soddisfazione, l’uno dirimpetto all’altro, salutandosi in un idoneo rituale di machismo amatoriale.

Sfogate le pulsioni manesche, niente di meglio che una birra ghiacciata in balcone, accompagnata da una distensiva sigaretta, con lo sguardo perso nell’orizzonte del crepuscolo. Il placante coronamento di una storia di amicizia maschile fuori dagli schemi; un po’ cruda, ma sincera.

Eppure, l’approccio del regista alla materia insinua dubbi di carattere psicologico paradossalmente delicati, se non tragici.

Quei tatuaggi così stranamente speculari, quegli scambi di irruenza tanto equamente distribuiti, quel muro separatore durante la pausa mediana che fa somigliare l’inquadratura a uno split-screen.

Che i due wrestler non siano altro che il frutto di uno sdoppiamento di personalità, un confronto programmato fra due nature che occupano il medesimo corpo, magari all’ombra di soffuse e patite connotazioni omoerotiche?

In fondo chi conosce Fincher o Caparezza dovrebbe essere avvezzo a certi twist…

2021. BIG YAWN. JOHN ANGUS STEWART.

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