UN PASSATO INCONTENIBILE.
Si apre la porta di una villa antica e un coro di lamenti su accordi di pianoforte non preannuncia nulla di positivo.
Una panoramica dall’incedere lento, per un’opera ibrida tra live act misto a qualche tocco di stop motion, ci presenta l’interno di una dimora abbandonata, dove, come ogni buon horror che si rispetti, le foto dei Local Natives incorniciate al muro e altri oggetti inanimati, cominciano a manifestare sottili segnali inquietanti, sollecitati dal timido passaggio della mdp.
Uno stile scarno e sinistro, debitore dell’arte di animazione di Jan Švankmajer, per un racconto che abbraccia miti e archetipi della letteratura del terrore, partendo dalle scenografie, dai dettagli degli arredi pieni di polvere, malamente illuminati dal sole e il persistere ossessivo dei soggetti nelle foto e la mutazione scheletrica alla “Dorian Gray”, rappresentato in modo sempre più ansiogeno, come se quelle cornici contenessero qualcosa di inesplicabile, potenzialmente disgustoso.
Ed è qui, in sincrono con un crescendo di melodie acute e struggenti del brano, che l’impeto creativo di Mark Waring si impenna fino all’estremo, con soluzioni visive che riportano in superficie “vergogne incofessate” sottoforma di un dirompente flusso “metaforico”.
Le foto appese al muro, come dei silenti contenitori, cominciano a vibrare e lacerarsi mostrando stratificazioni del tempo passato, i vetri a frantumarsi fino ad esplodere e rigurgitare marciume, tra terra, fiori secchi e pezzi di frutta putrefatta che a ralenti fuoriesce dai fori occupati dalle cornici fino ad invadere di spazzatura tutto il pavimento.
Lo stile di Waring si è affinato col tempo, tanto che la sua carriera ormai si è forgiata sull’uso della stop motion in campo pubblicitario e nella direzione dell’animazione per film importantissimi come “La sposa cadavere” e “Frankenweenie” di Tim Burton e “Fantastic Mr. Fox” e “L’isola dei cani” di Wes Anderson.
LOCAL NATIVES. MARK WARING. 2010.
