SINKING SHIP / YGT (SAM MASON)

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VIAGGIO METAFISICO SU UN PIANETA IN SLOW-MOTION.

Più che un videoclip, quella di Sam Mason sembra una compilation di dipinti viventi. Il che non intende assomigliare a una critica.

In fondo è difficile pensare a un concept diverso, ascoltando anche solo poche note dei YGT (Your Gay Thoughts), perse fra il misticismo di un progressive rock contemplativo alla Pink Floyd e magiche sonorità electro-etniche.

Sorprendente e allucinante almeno quanto i soggetti è la tecnica adoperata dall’artista: un’animazione tridimensionale di grande impatto scenico, straordinaria nella definizione dei particolari, specie per quanto concerne il fotorealismo dei background.

Lo spettatore non è che un passeggero passivo, cui è concesso il privilegio di ammirare le meraviglie di un luogo oltre la realtà, invitato a osservare il più rispettoso e religioso silenzio.

Sfondi montuosi, senza tempo e senza spazio, perduti in qualche terra desolata, o magari situati in un pianeta lontano dove i minuti trascorrono lenti come ore, e le ore sono giornate intere. Oppure chissà, lassù si vive in un’era che non è mai iniziata né mai finirà, sotto il sole di un crepuscolo eterno.

Edifici dimenticati dalla storia; mura corrose di strutture primitive smarrite fra le rocce; palazzi deserti dai connotati orientali, eretti sulla sabbia ombrosa.

Sembrano i resti di una città antica, custode di segreti forse troppo preziosi per l’umana comprensione e pertanto diluiti nei silenzi del vento.

Su queste cartoline viventi si stagliano figure del tutto innaturali, eppure perfettamente integrate nell’estatica imponenza dei paesaggi.

Due mani del colore degli zaffiri, senza corpo e di dimensioni divine, volano come UFO fra le nuvole placide, planando severe su strane forme umanoidi dalla testa blu. La m.d.p. si diletta in sinuose carrellate nei corridoi di un tempio vuoto, oppure si lancia in evocative esplorazioni dall’alto degli esterni, come un drone virtuale in un mondo che non c’è.

Individui incappucciati, probabilmente monaci depositari dei misteri del luogo, sorvegliano imperturbabili l’ambiente. I loro volti restano celati sotto i pesanti drappeggi delle tuniche, mosse solo dalle tiepide folate che soffiano al ralenti fra massi e rovine.

Coglie alla sprovvista l’improvviso primo piano che il filmmaker dedica a una sorta di yeti dal pelo bianco e lo sguardo mansueto – a quanto pare lo stesso cantante del brano! È quasi mesmerizzante la pacata fluidità con cui il vello candido ondeggi.

La galleria di incredibili personaggi prosegue in diapositive di perturbante splendore: due medici della peste vestiti di nero, impegnati in una muta conversazione sulla cima di un rilievo; beduini avvolti in lunghi panni che attraversano la valle a fatica; giganti scimmieschi ripresi nel loro caloroso santuario.

Ma soprattutto sono degli umanoidi dalla pelle tinta di ciano ad attirare l’attenzione: fra sferici corpi metallici e colli allungati, sembrano usciti da un quadro di De Chirico su bozzetto di Dalì.

Impossibile non pensare a Laloux e Topor, le menti creative di quel capolavoro surrealista che è Il pianeta selvaggio del 1973, e un po’ dispiace che Mason non abbia avuto un minutaggio da cinema per approfondire le proprie invenzioni visive.

Ci si potrebbe domandare che ruolo abbiano gli esseri umani in questo universo alieno. Ma nel sussurrato turbinio di una vera evasione onirica, la risposta sorgerebbe spontanea: ha davvero importanza?

YGT. SAM MASON. 2019.

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