THE MERRY BARRACKS / DEERHOOF (AKIKO MCQUERRY & JASON DRAKEFORD)

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UN BIGNAMI DEL J-HORROR.

Jason Drakeford e Akiko McQuerry devono amare davvero l’horror nipponico. Solo chi lo conosce bene sarebbe in grado, infatti, di condensare in pochissimo tempo un compendio della complessa e sfaccettata personalità del cinema terrifico nipponico.

Non soltanto il volto notoriamente “eerie” e inquietante dei moderni racconti kaidan sulla scia di Ringu e Ju-on, ma anche quello più delirante, estroverso e, specie agli occhi di un audience occidentale, irrimediabilmente strambo.

Per quanto concerne il secondo punto, non è da sottovalutare l’apporto straniante delle composizioni sperimentali dei Deerhoof, fra sussulti freakeggianti e inaspettati cambi di rotta musicale.

L’occhio spasmodico di un etereo nottambulo, che shakera la visuale come in un film found-footage, avanza e indietreggia per i corridoi di una casa semideserta, alternato in un montaggio singhiozzante a gotici scorci di silhouette arboree e a funghi atomici che si consolidano nella forma di un cuore.

Sarà per l’umana propensione a cercare un appiglio razionale anche nei contesti meno logici, ma dal momento che i due registi si focalizzano sull’inerme figura di una ragazza dormiente – o morente – nel mezzo di tale coacervo, siamo disposti a credere che tutto ciò che abbiamo visto sinora non sia altro che lo spiacevole sogno febbrile della suddetta signorina.

Ella giace sul suo letto a occhi chiusi con un morbido abito bianco indosso: è persino più irreale dei suoi stessi incubi. Ma è solo l’inizio di una scalata all’ultima bizzarria: lo spirito della giovane si disgiunge dal corpo, si solleva e vaga per il mondo coi suoi lunghi capelli d’ebano sul viso.

Già, assomiglia proprio a Sadako, o alla sua controparte americana Samara se si preferisce il The ring di Gore Verbinski, e l’agghiacciante bianco e nero del filmato fa davvero sembrare la scena un reperto di videoarcheologia dannata (senza apostrofo, beninteso).

Il fantasma si sposta senza essere notato, semitrasparente e intangibile, per vie trafficate e negozi affollati, osserva i passanti ed esplora gli anfratti della società dei vivi in totale e preoccupante silenzio.

Be’, l’immaginario creepy è stato sufficientemente stuzzicato. Ora è tempo di passare alla beneamata – e perdonate il francesismo – sezione what the fuck?!.

In un tripudio di effettistica digitale senza arte né parte, amatoriale nella resa ma deliziosamente fedele alla videoestetica di innumerevoli prodotti filmici giapponesi (si pensi alla pazzia low-fi delle vecchie mostruosità slapstick nell’Hausu di Obayashi), assistiamo al volo collettivo di oggetti di varia natura.

Stormi di cappelli, occhiali, orologi, chincaglierie di ogni genere volteggiano per l’aria come UFO formato mignon. Da dove provengono? Dove sono diretti?

Be’, la risposta ai nostri quesiti ci farà cadere la mandibola all’altezza dello sterno.

Non appena la ragazza addormentata del prologo spalanca gli occhi, svelando sclere scure come la notte, le teste di tutti coloro che lo spettro ha incontrato durante i suoi vagabondaggi esplodono a mo’ di palloncini!

Fra schizzi di sangue estratti dalle librerie di After Effects e attacchi al chroma key di ridicolo e calcolato pressapochismo tecnico, dai colli vacanti degli imperturbabili malcapitati si librano proprio le stesse cianfrusaglie che adombrano i cieli.

Ecco spiegata l’origine dei mini-UFO. Elementare, nevvero?

Animali di peluche, paperelle di gomma, sturalavandini e compagnia bella, trasportati dal nefario soffio di un vento dell’altro mondo, si fiondano in massa nella stessa abitazione dove tutto è cominciato: proprio la casa in cui “riposa” la ragazza dagli occhi di tenebra.

Uno dopo l’altro i ninnoli spariscono tra i fumi di esplosioni alla CGI, mentre le fiamme farlocche dell’inferno – il mitico Jigoku – divorano la presenza immota della catatonica protagonista. E quando ormai il fuoco non ha più nulla da consumare, l’intero edificio si disintegra in un irreparabile “boom” nucleare! Alla faccia dei finali col botto.

Una vita che si conclude, un universo intero che muore, la fine di ogni realtà.

Ma non c’è nulla da temere: il fungo atomico, dopotutto, ha le sembianze di un cuore…

DEERHOOF. AKIKO MCQUERRY & JASON DRAKEFORD. 2011.

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