COSTRETTI AD INDOSSARE LA MASCHERA
COSTRETTI A TOGLIERE LA MASCHERA
Il giudizio, i commenti degli altri, non sentirsi all’altezza, cercare di apparire al meglio e magari meglio di quel che si è. Fingere, adeguarsi e peggio omologarsi, recitare una parte.
Indossare una maschera.
Tutti noi indossiamo maschere a seconda delle necessità, spesso, a volte, quando siamo in difficoltà, quando vogliamo ottenere qualcosa. Tutti noi mettiamo una faccia che non è la nostra o almeno non la nostra consueta. Tutti noi vogliamo apparire belli, buoni, di valore.
Non è una grande colpa. Di fronte a chi ha in mano il nostro destino, tipo un capo, un professore, un giudice è normale usare un linguaggio più ricercato, avere più attenzione nei movimenti, nelle espressioni e nei modi. È normale. Capita. E quando stai corteggiando qualcuno? Avrai il tuo miglior sorriso, racconterai i successi, le fortune. È normale. Capita.
Ci sono di quelle cene dove fai presenza perché non puoi fare a meno e poi dopo, tornando a casa, senti l’indolenzimento dei muscoli facciali costretti per ore nella morsa di un sorriso forzato. La gentilezza che maschera il fastidio di un parente o di un collega, la disponibilità che tiene a bada l’inquietudine di inutili riunioni fiume dove tutti si sentono in dovere di dire la sua.
È normale. Capita.
E noi che dopo tanti anni di bella prestanza iniziamo a temere le nostre rughe e il calar della pelle? Non trovo niente di sbagliato nel volersi sentire bene con se stessi. Non penso ci sia niente di male nel volersi presentare agli altri nella migliore delle proprie forme.
Ma poi ci sono scalpelli e bisturi che passano su nasi gobbi o aghi che rinforzano zigomi e labbra o gomme gelatinose che variano tette e culi. Per essere belli soffri quanto per un incidente d’auto.
Ci sono di quelle maschere che travalicano e diventano identità. Mentre la maschera si ispessisce, si assottiglia e si sgretola la propria identità. Accettiamo di vestire ruoli che ci stanno stretti ma così piacciamo. Accettiamo, e a volte siamo ben disposti, a deformare il nostro io per appartenere, per far parte, per essere graditi. A volte ci mascheriamo anche solo per passare inosservati, per sembrare normali e finalmente normali sparire nell’anonimato della folla non giudicati e visti.
La maschera è una sicurezza. La maschera è un aiuto. La maschera ci fa più belli di quel che siamo, ma poi ci chiede il conto.
Il video di “Down Here” mi ha fatto un certo effetto. Sembra un gioco per loro. Sembra una cosa buffa e quasi ironica: persone, che nella vita normale indossano una maschera che però, tutto sommato, è la sintesi della loro stessa faccia. La propria faccia come maschera. Mascherarsi da se stessi: divertente.
Ma poi si entra in un sentimento un po’ particolare. La maschera uguale alla propria faccia, plastica morbida ben lucidata e imbellettata, non cambia, non invecchia, non si imbruttisce. Indossare la maschera del nostro volto che non cambia. Un trucco facile ma fittizio per non invecchiare mai, per avere sempre la nostra forma migliore. Mascherarsi da se stessi è essere intrappolati da se stessi: una trappola. È il negarsi la possibilità di cambiare, è privarsi della sorte, del futuro, del mutare cose che col tempo è bello abbandonare per svilupparne e possederne altre.
Ma poi nel video tutto cambia. Nessuno più indossa la maschera o almeno, la maschera non è più visibile e quindi succede l’inevitabile: se la maschera la tieni troppo a lungo, finisce che non ti liberi più della sua prigionia.
Non bleffiamo, siamo brutti. A volte molto brutti. Il nostro corpo tende all’afflosciamento, a depositare grasso o peli dove non possiamo tollerare, a incartapecorirsi e indolenzirsi anche se il nostro spirito è ancora energico e forte. È il vivere che ci fa brutti ma vuoi mettere aver vissuto la vita…
CLAUDIO OLACHEA. OMER BEN SHACHAR. 2022.
