WAKANGENEI / ANKOBO + KABOO (FELIX UMAROV)

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I CHIAROSCURI DELL’UMANITÀ.

Assalto ai sensi! Il bianco e nero curato da Andrey Krauzov rapisce e conturba ancor prima che il video vero e proprio muova un solo fotogramma.

Dopo le angosciose distorsioni sonore che danno forma ai credits, grezzamente scritti a mano e contornati da puntinature tipiche di una pellicola consunta, il regista Felix Umarov ci coglie alla sprovvista scaraventandoci insieme al barbuto protagonista in un vagabondaggio disperato, incessante, alla cieca, per valli desolate ricoperte di rocce e sabbia, in balia di una forza nefasta che sembra inghiottire l’universo.

Eppure il ritmo tribale del brano di Ankobo + Kaboo, l’ipnotico riff vocale che fa riverberare corde ancestrali dell’anima risalenti alle radici stesse dell’umanità, l’accompagnamento strumentale intriso di mistico e arcano orientalismo, infondono uno strano sentore di pace, di panteistica divinazione dell’io, di espansione spirituale che trascende e asseconda al contempo l’alienità dei soggetti ripresi.

Pena e liberazione coesistono in ogni orma che l’uomo malconcio lascia al suo passaggio nel deserto, paura e fascinazione trasudano dal conglomerato di corpi che, poco più distante, si raccoglie attorno alla reverenda figura di un giovane sovrano, ornato secondo i dettami di una cultura nuova e remota, persa in un tempo senza tempo.

Non serve una qualche contestualizzazione didascalica per intuire in quali futuristiche circostanze ci troviamo.

Quella civiltà del benessere che ha da sempre assuefatto i suoi figli distraendoli dalla minaccia di un incombente cataclisma, è giunta al termine. Il mondo è finito, si potrebbe anche dire un po’ teatralmente.

L’eleganza formale del 16mm utilizzato dal filmmaker moscovita ben evidenzia la portata liricamente catastrofica sprigionata dal primitivo ordinamento del “nuovo mondo”.

Una società di sopravvissuti ricoperti di stracci, ornati di polverosi fossili provenienti da un’epoca di abbondanza di cui probabilmente neanche serbano ricordo, avvicinati dal terrore della morte e dalla speranza che, un giorno non lontano, un Salvatore li riconduca alla mitica prosperità perduta.

Copricapi di ossa e teschi, caschi di vetro e metallo che sembrano fuoriusciti da una graphic novel steampunk, insegne sacre e accessori ricavati da reperti obsoleti e legni secchi: un ammasso di rifiuti che trova nella precisione compositiva dello sguardo artistico e armonizzante dell’animale-uomo una dignità e solennità senza eguali.

Ma torniamo al viandante moribondo su cui si era aperto il sipario del filmato: due guardie reali lo trascinano al cospetto del monarca e della plebe, come se una qualche profezia avesse vaticinato il suo avvento. Il sorriso che si alza sulle labbra del re dimostra che, sì, è lui il prescelto: quell’uomo confuso e debole, una volta rimesso in sesto, porterà un’era di benestare al nuovo popolo.

In fondo, con quella barba folta e quell’aria smunta, la fisionomia del povero viaggiatore sussurra richiami cristologici che anche a noi spettatori del XXI secolo lasciano pochi dubbi circa il suo “ruolo”.

E be’, è il caso di dirlo, lasciano poche incertezze anche sulla sua sorte.

In un twist che potrebbe benissimo definirsi come la perfetta progenie dell’horror folk e della fantascienza post-apocalittica, scopriamo che le cure riservate al “Messia”, all’apparenza benevole e mirate alla celebrazione e al sostentamento dello stesso, sono in realtà il preludio di un rituale molto più macabro, disumano… anzi, perfettamente umano, considerati i trascorsi della storia.

Nulla i nuovi terrestri hanno imparato dagli errori dei loro antenati: puntando il dito sull’agnello sacrificale di turno, come gli ultracorpi di Terrore dallo spazio profondo, legano a un rudimentale altare il “salvatore” per offrirlo in pasto al loro “dio” vorace e ferino. Il volgo è contento, il re è soddisfatto: l’ordine è salvo, lo status quo ancora stabile.

Dall’utopia religiosa all’incubo neopagano di Midsommar, in un baratro di brutalità, sfruttamento della paura e politicizzazione del credo che da epoche immemori, in diverse forme e proporzioni, regolano il corso della vita pubblica.

D’altronde, che si tratti dei roghi dell’inquisizione nel Medioevo o dei pasti di mutanti cannibali nel futuro di Umarov, cambia davvero qualcosa? Neanche la fine del mondo sembra aver messo fine alla follia dei suoi abitatori.

Amare riflessioni… Ma, dato che per il momento viviamo ancora nella vecchia società del benessere, lasciamoci assuefare ancora un po’ dalla musica! “Wakangenei, wakangenei…

ANKOBO + KABOO. FELIX UMAROV. 2020.

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