“ONDE” AD ALTA QUOTA.
Nel ritornello, la rapper attivista Mathangi “Maya” Arulpragasam in arte M.I.A. canta di essere orgogliosa di non somigliare né a Ryhanna, né a Madonna, né a Mariah o Ariana, perché non condivide nulla del potere che le pop star mondiali hanno accumulato in tutti questi anni. Difatti, a causa delle sue provocazioni (senza peli sulla lingua) non solo in ambito musicale, ma anche sociopolitico, per lungo tempo le è stato vietato di esibirsi sui palchi degli USA.
In occasione del singolo P.O.W.A., la musicista inglese si autodirige in una location selvaggia e desolata dell’India, tra le montagne di Jammu e Kashmir, dove si esibisce in situazioni precarie o pericolose, del resto sempre in linea con la sua poetica al limite, sfidando altezze vertiginose e l’imponente forza del vento che fa fluttuare il lunghissimo velo del suo sari, per poi magari offrirsi distesa su un letto di fiori adagiato su un rimorchio di un camion; insomma una sferzata di colore in mezzo a un territorio grigio e quasi desertico.
Non c’è qui la mano di Gavras a muovere i fili della clip, con le sue carrellate dal respiro cinematografico e con le sontuose scene di massa, ma ciò non toglie nulla al fascino di questa esotica location avvolta da un’atmosfera dal gusto femminile, nelle scenografie floreali e dei grandi veli che nascondono il viso e si frappongono tra l’obbiettivo e i suggestivi e impervi panorami con la loro pietrosa mole.
A questa, fa da contrappunto “maschile” il grande pannello velato davanti al quale si sviluppa la coreografia di una cordata di ragazzi, un talentuoso gruppo di performer “in divisa”, camicia, pantaloni scuri e cappello color arancio; una danza dall’espressività perfettamente sincronizzata, fatta di sequenze fluide quasi ondose di singoli gesti meccanici dall’aspetto marziale, un effetto domino che si snoda nelle due direzioni della fila, per poi riprendere con varianti e invenzioni sempre più minuziose e concitate.
M.I.A. 2017
