JELLY-E.
In un futuro lontano un robot disinfestatore si risveglia in una stazione spaziale; l’allarme lo avverte che gli insetti hanno invaso la stazione. Allora si prepara: si fa la doccia, indossa il cappello della sua uniforme.
Parte. Per i corridori desolati della stazione.
Disordine: un bicchiere rovesciato, un vetro rotto. Prende un ascensore, sale in plancia. Gli insetti sempre più numerosi invadono l’ambiente. La stanza è vuota, i finestrini rotti riversano nello spazio gli ultimi brandelli di tecnologia. Flash rivelano la verità: una falla, l’aria defluisce e con essa l’equipaggio. Il robot torna indietro, trascina i suoi tentacoli sul pavimento; si siede nel luogo in cui si è svegliato, si siede e aspetta, non curante degli insetti. L’unica forma di vita all’interno della stazione.
Un video emozionale per un racconto sempreverde: un robot, una stazione disabitata e qualche idea ripresa qua e là sono tutto ciò che serve per un prodotto di fantascienza. Il risvolto drammatico della storia è subito anticipato dal tema musicale a metà tra il malinconico e l’etereo, con sonorità che ricordano il Low Roar degli inizi; e dalla fotografia basata sul grigio.
La regia è lenta, e accompagna il protagonista attraverso i corridoi della stazione durante lo svolgimento del suo lavoro, con visuale anche in soggettiva. Lode particolare va all’estetica del personaggio che dimostra, ancora una volta, come l’animazione riesce a rendere vivo e espressivo quello che, a conti fatti, è una sfera con dei grossi tubi. Il mettersi il cappello e lavarsi prima di “presentarsi al lavoro” crea, sfruttando l’antropomorfismo, un’empatia naturale nei confronti del soggetto; empatia che si riversa nell’equipaggio quando ne scopriamo la terribile sorte.
HUNDRED WATERS. JEREMY CLAPIN. 2015.