IF I HAD A HEART / FEVER RAY (ANDREAS NILSSON)

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I POSTUMI DI UN MASSACRO.

Il progetto solistico (dopo un breve periodo nel duo elettropop The Knife) della svedese Karin Dreijer, “Fever Ray” parte decisamente col piede giusto, tanto che questo primo singolo “If I had a heart” con la sua cadenza lenta e oscura da litania di altri tempi, è stato utilizzato come sigla d’apertura per la serie tv “Vikings” e per esaltare un momento particolarmente “down” di Jesse Pinkman in un episodio di “Breaking Bad”. 

Testo introspettivo e musica dall’incedere funebre trovano giusta affinità estetica con un immaginario di deriva folk horror, organizzato per sequenze statiche dal regista Andreas Nilsson che già dall’incipit acquatico rievoca attimi del capolavoro anti-western di Jim Jarmusch “Dead Man”, in un’atmosfera notturna con una lenta canoa in mezzo al fiume su cui si scorge una fila di bambini bianchi dall’aria spaurita, che un indigeno porta a salvamento.


Lo scenario successivo che si apre con un taglio secco, non lascia nulla all’immaginazione, un giardino di una villa/tempio imponente sorpreso in tutta la sua immobile drammaticità rivela l’epilogo di una vera e propria mattanza (qui la rievocazione di un tragico fatto di cronaca nera, il suicidio di massa di Jonestown (Guyana) avvenuto nel novembre del ’78, indotto da Jim Jones) un’enorme piscina vuota in cui giacciono centinaia di cadaveri e, all’interno dell’edificio,
un austero salone in penombra in cui si replica il risultato di una agghiacciante realtà, dove l’unico a muoversi è un pastore tedesco che zampetta fra sculture e tappeti fiutando tra i corpi delle vittime distese ovunque.


Una soggettiva ad altezza cane continua il suo glaciale percorso all’interno, fino a scorgere nascosto in un angolo uno spirito, la stessa Karin Dreijer con indosso un pesante trucco da Dia de los Muertos che, accarezzando un pelusche posticcio intona le poche parole della nenia tribale, mentre la m.d.p. si sofferma per un istante sulla figura di un indio, immobile e bardato di foglie secche con un’enorme maschera sul volto, unica sbigottita presenza di quel terribile scenario, mentre nella scena finale, la canoa salvifica che si allontana in mare aperto sembra rappresentare un barlume di speranza per quel gruppetto di bambini sopravvissuti.

FEVER RAY. ANDREAS NILSSON. 2008.

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