FALLING FROM THE SKY / CALEXICO (MIKEL CEE KARLSSON)

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UN AMORE PARASSITICO.

Una lenta panoramica introduttiva, su quella che ha l’aria di essere una camera d’albergo, si arresta placidamente sul suo particolare occupante, che si agita fra le lenzuola del letto sfatto.

Gli artisti Albin Karlsson e Björn Renner sono i realizzatori della bizzarra creatura vermiforme: l’aspetto dell’essere offre una valida risposta a chiunque si domandasse che aspetto avrebbe avuto il bebè deforme del film horror Combat shock se fosse sopravvissuto alla prima infanzia!

Fra butterature facciali che faranno rabbrividire gli spettatori tripofobici, una bocca a ciambella dalla forma a dir poco equivoca e una conformazione fisica che di umano ha davvero poco, non si tratta certo di un pupazzo che un bambino vorrebbe stringere a sé prima di addormentarsi.

Eppure, insieme al ribrezzo divertito di un fan del body horror alla Cronenberg, è impossibile non provare un senso di pietà, o compassione, per il povero “alieno”. Sarà anche che i toni dolci e rilassati dell’orecchiabile brano dei Calexico bastano e avanzano ad addensare un mood malinconico. O sarà che l’espressione triste dell’occhio del mostro, tenera e innocente, fa venire voglia di fargli una carezza con buona pace del disgusto.

Il nostro osserva la finestra illuminata della stanza, ammira il volo degli uccelli, agogna una libertà che la sua condizione gli impedisce di raggiungere: muovendosi impacciato e spasmodico, agitando scompostamente i suoi goffi arti – o qualsiasi parte del corpo quelle protuberanze tentacolari dovrebbero rappresentare – riesce a malapena a spostarsi di qualche passo.

Ed è qui che entra in scena il co-protagonista della storia: un ragazzo della tribù dei “normali”, interpretato dal cantante José González, che si prende cura della creatura, seguendola notte e giorno, portandola sempre con sé.

Persino rinchiudendola in un valigione di legno durante gli ordinari spostamenti per le vie della città!

Insomma, si spalanca uno scenario che riporta alla mente il mitico Basket case di Frank Henenlotter, al netto di vendette sanguinarie: il rapporto simbiotico e malato fra due “freak”, così diversi eppure così legati, indissolubilmente uniti da un quid che si fatica a spiegare, ma che si capisce non essere salutare per nessuno dei due.

Qualsiasi sia quell’incognita che li incatena, quel rapporto di faticosa dipendenza e di attaccamento patologico che per misure e prospettive differenti coinvolge ambedue, viene ben incarnato dal robusto cordone ombelicale che pende dalla schiena del vermone.

Che si tratti di amore possessivo, o dell’iperprotettività di amici e parenti nei confronti di un caro affetto da un male incurabile (qualcuno ha bisbigliato “eutanasia”?), l’atmosfera che si respira sprigiona lezzi velenosi.

La brama di evasione, di fuga da una situazione opprimente, scomoda e umiliante, il rifiuto di una parvenza di normalità che rimesta nel patetico, è proprio il sentimento che si coglie dagli sguardi sommessi dei due protagonisti.

Sia quando tentano di portare a termine una frugale colazione, con inevitabili spargimenti di latte sul tavolo, sia quando si coricano a riposare dandosi le spalle l’un l’altro, sforzandosi di ignorare l’infelicità pungente che li sovrasta.

Niente male per un video che ha come star un burattinone meccanico in lattice simile alla larva partorita da Geena Davis nel celebre La mosca!

E se il finale sospeso lascia un po’ con l’amaro in bocca, non c’è di che preoccuparsi: il regista Mikel Cee Karlsson ha infatti diretto un vero e proprio sequel, questa volta per una canzone dello stesso José González.

Chissà quale sorte attende i due sfortunati “congiunti”…

CALEXICO. MIKEL CEE KARLSSON. 2015

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