OPEN BOOK / JOSÉ GONZÁLEZ (MIKEL CEE KARLSSON)

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L’UOMO E IL MOSTRO, PARTE SECONDA.

Torna la strana coppia del video “Falling from the Sky” dei Calexico, sempre sotto la guida di Mikel Cee Karlsson. Se in quel frangente il regista trattava il punto di vista della bizzarra creatura vermiforme, questa volta è il protagonista “umano” a impugnare le redini del racconto.

Non a caso, l’interprete-cantante José González è anche l’autore del qui presente brano, malinconica melodia folk che chiude la vicenda con un tocco di tenera mestizia che ben si confà al tema.

La situazione non è mutata di molto rispetto all’episodio precedente: José e il suo compagno condividono ancora la stessa camera d’albergo, ciascuno come un peso per l’altro, cupi in volto e tacitamente insofferenti.

Durante i loro percorsi fuori porta, il ragazzo reca con sé il solito baule di legno, una sorta di prigione ambulante che risparmia agli sguardi della gente la mostruosità di quell’essere.

La fugace curiosità sul viso di un’attraente facchina, bruscamente lasciato fuori dalla stanza, incarna la vergogna di un segreto inconfessabile, l’impossibilità di una sana vita sociale, le occasioni che la vita offre e che la durezza delle circostanze impedisce di cogliere.

González intrattiene se stesso e il suo peculiare amico suonando delicatamente la chitarra, costruendo una dimensione musicale alla sua frustrazione. Una frustrazione comune a entrambi: è infatti dalle labbra del “freak” che proviene l’inciso fischiettato.

Un vero e proprio duetto dolente, insomma.

Ma è con un raccapricciante twist da body-horror che la vera natura del rapporto dei due figuri si palesa: a legarli è un collante molto più concreto di qualsiasi sorta di malsano sentimento, molto più tangibile e agghiacciante di ogni contorcimento psicologico.

Dalla schiena di José affiora una delle due estremità di ciò che assomiglia a un gigantesco cordone ombelicale, una catena biologica che condanna alla convivenza due anime tormentate, un link sanguigno che innalza a livelli cronenberghiani l’ideale drammaticità di una relazione tossica!

L’amore asfissiante che non conosce intimità, che nega l’individualità dei partecipanti e assopisce speranze, ambizioni, libertà. La vittima è carnefice, il carnefice è vittima. La simbiosi parassitaria che chi conosce il delirante cinema di Frank Henenlotter ha ben presente.

Tuttavia quando è troppo, è troppo: durante l’ennesimo confronto di coppia, fra i capricci della creatura e l’insistenza di González, il filamento carnoso finisce ghigliottinato dalla porta, liberando per sempre i pazienti dal loro flagello.

Il distacco è netto, violento, e persino impari: José può incamminarsi beatamente per la propria strada, gettandosi la bruttezza del passato alle spalle, ma sarà molto difficile per il suo ex-congiunto trovare un posto nel mondo. Cosa potrebbe combinare un alienoide senza arti lasciato alla mercé del fato nel suo anonimo scatolone di compensato?

Dubbi, ambiguità, dolore: un’interpretazione forte, quella dell’amore insalubre.

A questa si può aggiungere un’ulteriore chiave di lettura (ammesso che se ne debba cercare una nella già esaustiva, goffa tragicità di quello spastico ammasso di lattice e comandi a distanza), ed è lo stesso Karlsson a sottolinearlo in una dichiarazione pubblica.

Secondo il videomaker, il mostro raffigurerebbe il famoso “lato oscuro” dell’essere umano, quella parte dell’io che proprio non si riesce ad abbandonare, benché incomba come una maledizione su ogni aspetto della quotidianità.

C’è però un’implicazione in quest’ultima teoria: se la deformità del “Male” è un grave impedimento per chi agogna un’esistenza ordinaria, allo stesso modo il perfettinismo del “Bene” rappresenta un’appendice noiosa e costrittiva per chi rifugge la cosiddetta “normalità”.

Non sono forse le piccole sfumature più disarmoniche e imprevedibili a rendere una vita degna di essere vissuta?

JOSÉ GONZÁLEZ. MIKEL CEE KARLSSON. 2015.

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