SPRINGTIME / ERLAND & THE CARNIVAL (CHRIS LEE & PAUL STORRIE)

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UNA “PRIMAVERA” FUNEREA.

Benché conti tanti estimatori quanti detrattori, Buried – Sepolto di Rodrigo Cortés è un piccolo film che ha fatto scuola, o se non altro ha piantato una pietra miliare nella storia del genere thriller, ponendosi come modello di comparazione per qualsiasi opera lo rievochi per tema o impostatura narrativa.

Un anno dopo l’uscita della pellicola, il duo artistico Chris Lee e Paul Storrie gira per i londinesi Erland & the Carnival un interessante videoclip “sotterraneo” che non può non riportare alla mente il mood del lavoro cortesiano.

Se là il protagonista Ryan Reynolds si svegliava un paio di metri sotto la sabbia, all’interno di una cassa di legno con circa un’ora e mezza di ossigeno a disposizione, qui a Gawain Erland Cooper non è concessa neanche la protezione di una bara.

Il cantante inglese si trova in un angusto loculo scavato nella terra, circondato da polvere, radici e pietre, pressoché impossibilitato a muoversi.
A differenza dell’americano compagno di sventura, tuttavia, non si mostra terrorizzato, né smanioso di evadere da quella claustrofobica prigione. Con aria malinconica intona le parole del suggestivo brano che lo accompagna negli ultimi tre minuti della propria esistenza, nell’incantevole vibe “gloomy” di certa New Wave anni ’80.

Un’altra caratteristica che diversifica le due esperienze è la posizione delle malcapitate vittime: Cooper non è infatti costretto in una posizione supina, ma se ne sta dritto come un fuso, piantato a guisa di un palo nel terreno, completamente infossato nel sottosuolo.

Piccoli spruzzi di terra precipitano dall’alto depositandoglisi sulle spalle, e sembrano aumentare di intensità col passare dei secondi. Il tempo diventa dunque un fattore determinante nella scena, una figura ricorrente, accentuata dall’emblematica verticalità nella quale si svolge l’azione, che riecheggia il funzionamento di una clessidra.

A rendere l’esperienza ancora più sgradevole ci pensa una brulicante comunità di grossi scarafaggi, che comincia a colonizzare il corpo del poveretto, addirittura facendosi largo sotto i suoi vestiti, in sequenze che cacceranno un brivido lungo la spina dorsale di tutti gli spettatori entomofobi.

I bacherozzi disegnano sull’uomo confuse costellazioni, zampettandogli sulle braccia, sul torso, e persino sul viso: la sua totale impassibilità denota un bel coraggio da parte del Cooper-attore, specie di fronte alla prospettiva di ritrovarsi una blatta in bocca durante uno dei take!

Chissà, magari Reynolds avrebbe comunque preferito loro al serpente che nel film gli giunge a far visita!

Ma forse anche più disgustosa è l’immagine degli insetti spiaccicati nella mano del cantante, lo stesso pugno che stringe un orologio da taschino: l’idea del tempo torna a incombere, segno che l’amara fine è vicina, che la terra piovente decreterà il destino del nostro.

La luce del giorno, che brilla lassù da qualche parte, è ormai una chimera irraggiungibile.

Lentamente ma inesorabilmente, la cavità si riempie di terriccio, sovrastando Cooper e i suoi amichetti blattiformi, scandendo nell’angoscia la tranche conclusiva della canzone.

Ma, come insegna l’espressione inglese, “they will outlive us all”: se gli scarafaggi possono sopravvivere a un olocausto nucleare, non sarà certo qualche piede di terra a fermarli!
L’artropode che nell’ultima scena riaffiora da quella strana tomba, come un minuscolo zombi a sei zampe, dipinge la scintilla di un oscuro presagio sulla sorte dell’essere umano, sulla sua impotenza, sulla sua debolezza di fronte alla natura e all’indifferenza del fato.

Oh, be’, almeno l’orecchiabilità del pezzo mette in salvo il buonumore!

ERLAND & THE CARNIVAL. CHRIS LEE & PAUL STORRIE. 2011.

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