POLVERE E RICORDI.
Il blues desertico dei Tinariwen, in compagnia di due altri musicisti americani (Kurt Vile alla chitarra e Mark Lanegan “la voce inglese”) prende forma gradualmente col suo ritmo ipnotico, tra le distese di sabbia e vento in un piccolo accampamento di Tuareg nel Mali sullo sfondo di panorami dai colori vibranti e accesi, in una scansione temporale di contrasto netto tra l’accecante luce diurna e la notte stellata, avvolta dalla forza affabulatoria di un capo villaggio appena tornato tra la sua gente che in un momento di convivialità ritrovata, tra sorrisi e danze e al suono della chitarra elettrica, rievoca un passato in cui si alternano le gioie di una giovinezza spensierata con momenti più riflessivi o drammatici legati a quel luogo che sembrava non dovesse cambiare mai.
E così nel racconto pieno di nostalgia, reso con un tratto grafico volutamente essenziale e perciò più evocativo dal francese Axel Digoix (Cattivissimo me 2, Il piccolo principe ecc), si intrecciano con ritmo narrativo sfalsato scene del passato e del presente, seguendo la rievocazione filtrata dai ricordi vicini e lontani declamati dall’anziano cantastorie che, con espressione serena narra di due amici inseparabili legati a quel luogo remoto immerso nel deserto del Sahara, tra scorribande, giochi e corse lungo le dune, inseguendo sogni e utopie, mentre all’orizzonte incombe e si concretizza la minacciosa forma di un indefinibile mostro, che si fa largo tra i tralicci dell’elettricità, forse metafora di “guerre, colonialismo e una modernità non ben accetta”.
Nella scena finale, un panorama tinto di rosso acceso, carico di drammaticità enfatizza quello che sarà un lungo viaggio per i due amici, l’ultimo per uno di loro, deciso di affrontare in groppa a un cammello e senza armi, coraggiosamente e un po’ incautamente il temibile e informe macigno, dando il via ad una breve battaglia decisamente impari dalla quale non sopravviverà.
TINARIWEN. AXEL DIGOIX. 2017.