UN PUPAZZO PER RICORDARE.
Sul background di una placida periferia giapponese, un uomo in bicicletta pedala senza sosta lungo una carreggiata trafficata, con sguardo riflessivo, sigaretta in bocca e un coniglio gigante di peluche in grembo. Immagine surreale, anche buffa, un poco disagiante.
Eppure, man mano che il video diretto da Scott Dungate procede, va addensandosi un’aura malinconica e agrodolce. Sarà anche la distensiva pacatezza del brano dei texani Khruangbin, o il contrasto che si palesa fra i sofferenti primi piani del protagonista e l’imperturbabile espressione “kawaii” dell’ingombrante pupazzo, ma sono leggere fumate di mestizia ad ammantare la sequenzialità del racconto.
Questo a discapito delle comiche reazioni degli autisti in viaggio che sorpassano la strana coppia, fra occhiate di stupore e un pizzico di nervosismo.
Di tanto in tanto la narrazione si interrompe per rivelare recenti antefatti circa la vita privata dell’uomo: lo scorgiamo seduto a un tavolo, sempre in compagnia del giocattolone, intento a scrivere qualche arcano componimento o a sfumare il ritratto a carboncino di una bambina.
Ebbene, sarà proprio la piccola a contestualizzare il filmato, concretizzando una volta per tutte la dimensione profondamente drammatica dello sfondo. L’immagine della ragazzina, evanescente come un fantasma, che saltella allegramente di fronte a un albero adornato con centinaia di bambolotti racchiude il seme di una tragedia terribile.
Isolati bouquet di fiori e balocchi legati al guardrail o a un palo a bordo della strada, si sa bene, non vengono mai lasciati a testimonianza di belle esperienze. Accorato monito ai frequentatori della carreggiata, amara celebrazione di una persona cara, sentimentale feticcio-omaggio a una vita che si è spenta il più delle volte accidentalmente, in un fatale istante.
Il nostro ciclista giunge infine sul luogo della memoria, si ferma di fronte al monumento arboreo, posa il coniglio, appende il disegno al tronco addobbato e declama ad alta voce la lettera che lo avevamo visto buttar giù..
Considerata la quantità immane di giocattoli che circondano il fusto dell’albero, è spaventoso pensare al numero di viaggi che l’uomo, chiaramente il padre della giovane vittima, deve aver compiuto per completare l’opera.
La peculiarità delle sue gesta attira però le attenzioni di un poliziotto in servizio: un intralcio alla circolazione delle vetture non è un’infrazione da prendere sottogamba. Costui accosta l’auto accanto al genitore affranto, proprio durante l’orazione dedicata alla sua piccola. Interrompendo quel delicatissimo momento, l’agente scatena l’ira repressa dell’uomo, inaugurando un’escalation di percosse e spintoni reciproci della quale i muti pupazzi resteranno i soli spettatori.
Ma dopo il vicendevole sfogo, in mezzo a lacrime e sangue, arriva una riconciliazione altrettanto liberatoria: nell’abbraccio che i due si scambiano si consolida un atto di intensa comprensione, di genuina empatia, di universale compassione. Chissà, magari anche quel poliziotto ha subito in passato un simile trauma…
In un finale poetico quanto favolistico, l’agente scorta il padre in bici nel tragitto verso casa, avendo però prima accolto il mega-peluche sul sedile del passeggero. Poi uno schianto: la bicicletta ha tamponato la macchina della polizia. Ma non vi è più traccia dell’uomo. Lassù intanto, nel cielo imbrunente, due nuove stelle hanno preso a brillare. Due angeli che si sono ritrovati.
Incredibile pensare che, pur senza menzionare il Covid (il video risale proprio al 2020, all’inizio della pandemia), Dungate abbia così finemente tratteggiato il dolore che molte persone hanno subito durante il lockdown: l’impossibilità di assistere un parente malato, di ricongiungersi alla gente amata, di onorare il ricordo dei morti. Dura lex, sed lex… Ma un po’ di umanità non va mai dimenticata.
KHRUANGBIN. SCOTT DUNGATE. 2020.