RIEVOCARE IL BONDAGE.
Una donna in età è immersa nei propri ricordi, cullata sul lungomare di New York city riguarda vecchie foto dell’infanzia e ripensa ad alcuni periodi emozionanti della sua vita. Ha una vistosa cicatrice dietro al collo, dagli occhi traspare un velo di nostalgia che la riporta al periodo in cui, seduta nell’ombra ritraeva col suo taccuino un’acrobata bendata sospesa da strette funi. Un soggetto piuttosto crudo per una normale seduta di disegno dal vero, ma si tratta dei ricordi dell’artista americana Carolyn Weltman, famosa per i suoi soggetti maschili, femminili e transgender, in situazioni erotiche a volte estreme.
Un’enigmatica narrazione, che si svolge attorno al conturbante mondo della pratica bondage e che di sicuro avrebbe fatto gola al maestro giapponese della fotografia contemporanea Araki; l’atmosfera che si respira è in un precario equilibrio tra velata crudeltà e il senso di ritualità evocato da azioni o gesti colti nella lenta e sensuale preparazione alla dolorosa performance.
Un video cupo, che si dipana attraverso fuggevoli dettagli tra salti temporali e ambientali esaltati da un bianco e nero fortemente teatralizzante e avvolto dalla cadenza di un blues spigoloso, contrappuntato da una piccola sezione di sax baritoni che si alterna al ritornello cantato con voce sofferta di Ryan Lott, il leader dei Son Lux.
Un’escalation di primi piani che indugiano su funi e nodi stretti da un meticoloso assistente intorno al corpo della performer fino a provocarle vistosi segni costringendola a impossibili contorsioni e ad una sfiancante immobilità; una dura e insolita prova per un soggetto costantemente “al limite” dove si partecipa a una sofferenza trattenuta e inespressa, che da una parte attenua e dall’altra aggrava la tensione verso una possibile e più drammatica conclusione.
SON LUX. DAVID TERRY FINE. 2014.
