MUNITIONS / FOREST SWORDS (SAM WIEHL)

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UN POV DA BRIVIDI.

Nel 2012 impazzava la moda di Slender: The eight pages, un gioco indie in prima persona in cui il protagonista – probabilmente un bambino – si ritrova a vagare per una foresta di notte, con la missione di recuperare otto pagine nascoste fra alberi ed edifici abbandonati. Ma meglio fare in fretta! Perché la batteria della torcia non è eterna, e inoltre una presenza malefica, il famoso Slender Man delle creepypasta, si aggira nei dintorni…

Un plot a dir poco elementare e una messinscena minimale, eppure il successo fu travolgente. La ragione? Proprio la semplicità del concept.

Con pochi elementi ornamentali e ancor meno dettagli cui badare, il creatore aveva colto la quintessenza della paura: la vulnerabilità dell’infanzia, l’atavico senso di minaccia del buio e dei suoni che lo abitano, l’ansia della circospezione, l’angoscia dell’attesa che precede la morte.

Chiunque vi abbia giocato, o anche solo abbia dato una sbirciata alle miriadi di canali di gaming su YouTube, lo potrà testimoniare.

Sugli stessi concetti si fonda il video del britannico Sam Wiehl: l’esplorazione in soggettiva di un luogo alieno, incoerente e profondamente perturbante, immerso nelle tenebre insondabili di un abisso spaziale.

Proprio come in Slender, e in fondo come anche nel mitico The Blair witch project, l’osservatore di turno si farà strada in questo strano universo armato solo di una torcia, il cui fascio di luce rivelerà l’ambiente circostante un poco alla volta, nel limitatissimo spazio di un unico cerchio luminoso.

Nessuno – né lui né lo spettatore, inevitabilmente costretto a immedesimarsi nel primo – sa cosa si celi oltre il perimetro rischiarato. Chissà quali esseri se ne stanno acquattati nella coltre di oscurità, ad aspettare il momento più opportuno per manifestarsi, per mettere in pratica i loro intenti nefasti. Un altro piccolo movimento della torcia, e una di quelle ignote creature potrebbe saltare fuori all’improvviso davanti ai nostri occhi, in tutto il suo orrore.

A rendere l’esperienza ancora più snervante (oltre, s’intende, all’angoscioso componimento elettronico di Matthew Edward Barnes, in arte Forest Swords) è la stessa ambientazione: non ci troviamo, infatti, in un banale boschetto, ma in una specie di sterminata discarica dove ogni rifiuto sembra piazzato da uno scultore surrealista per il Pesce d’Aprile.

In mezzo alle classiche carcasse di macchine, fra spranghe di ferro e vecchi container, a catturare l’attenzione – e a far scendere qualche brivido lungo la schiena – sono le centinaia di busti di pietra ammassate alla rinfusa. Un’infinità di teste mozzate, provenienti da vecchie statue di natura sconosciuta, giacciono abbandonate a se stesse sul terreno, guardando il nulla coi solo occhi senza vita.

E man mano che il vagabondaggio notturno prosegue, le stranezze aumentano.

Se cumuli di teste di statue sono già di per sé bizzarri, una singola testa marmorea sistemata in equilibrio su un tavolino, a sua volta collocato su una statua decapitata, è una vera e propria opera dadaista.

Se poi ci si mettono sedie vuote attorniate da tende deserte, bandiere bianche che sventolano in mezzo a decine di pile di sacchi di farina, ed enormi capoccioni statuari che si direbbero piovuti dal cielo, si ha davvero l’impressione di essere finiti in un incubo da cui è difficile svegliarsi.

L’ubicazione di oggetti comuni, facilmente riconoscibili e assolutamente innocui, in composizioni scenografiche che rifuggono la consueta logica umana, nutrono un sentore perenne di spaesamento e di minaccia, spalancando i tetri cancelli dell’uncanny valley.

Per di più, i soggetti modellati e animati da Wiehl sono così realistici che, sulle prime, quasi non ci si rende conto della loro fattura digitale; sono piuttosto i movimenti innaturali della torcia del protagonista a svelare il trucco.

Come per ogni horror found footage che si rispetti, il finale è il momento in cui il terrore si palesa, le paure sino a quel momento soltanto immaginate diventano un’orrenda realtà, la tensione lentamente maturata trova la propria valvola di sfogo nello spavento.

È adesso che l’identificazione fra il protagonista e gli spettatori raggiunge il suo acme, e i suoi pensieri diventano i nostri.

Certo che la suggestione gioca davvero brutti scherzi: per un attimo mi è sembrato che quelle statue antropomorfe si stessero muovendo. Ma è un’illusione ottica, ecco tutto. La luce distorce le figure, deforma le ombre.

Non può essere altrimenti.

No… Non può essere!

FOREST SWORDS. SAM WIEHL. 2023.

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