UUSI TEKNOKRATIA / ORANSSI PAZUZU (ZEV DEANS)

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GLI OCCHI DELLA METROPOLI.

“Le piace il cinema espressionista tedesco?”

Questa la domanda che a noi italiani verrebbe da chiedere con un po’ d’ironia a Zev Deans, autore del qui presente video. Probabilmente lui non coglierebbe la citazione, ma è quasi certo che risponderebbe in maniera affermativa.

Rievocando con grande finezza e appassionata cinefilia il gusto per la tenebrosità onirica, i netti contrasti del bianco e nero, le scenografie costruite su forme geometriche aguzze e bislacche, il regista descrive un “brave new world” dominato dalla tecnocrazia e dall’assoluto controllo.

La lezione del Metropolis di Fritz Lang e della scuola distopica orwelliana vibra e fermenta in ogni inquadratura, in ogni dettaglio scenico, muovendosi a braccetto con l’ossessività orrifica del vecchio dottor Caligari.

Servirsi di tecniche e stilemi ricamati da reperti cinematografici risalenti a un secolo fa per riflettere sulla condizione umana dei tempi attuali, se non ne pronosticarne gli sviluppi in un futuro prossimo? È proprio vero che i classici della Settima Arte non passeranno mai di moda.

Ad accompagnare e corroborare le immagini, l’angosciante ed entusiasmante suite degli Oranssi Pazuzu, il cui grintoso incedere avvolge e stravolge l’ascoltatore, crescendo parallelamente all’apocalittico climax del clip.

In una città frenetica e contorta, i cui edifici rifuggono con beffarda caoticità le convenzioni della prospettiva e dell’armonia figurativa, presso il “Dipartimento dell’Informazione”, un impiegato si sta dando da fare su alcuni fogli contenenti misteriosi progetti. Solo basandoci sui disegni ravvisabili, intuiamo debba trattarsi di nuovi marchingegni ottici.

L’uomo prende appunti e scribacchia rigoroso col suo pennino ben imbevuto di inchiostro, attingendo da un inquietante calamaio lupimorfo.

All’improvviso una strana voce emerge dalla radio, materializzando sulla sedia di fronte a lui il fantasma di un uomo anziano e dallo sguardo arcigno, persino diabolico, forse l’anima di un suo illustre superiore, o magari una proiezione spirituale.

Sia come sia, il dipendente ne è dapprima spaventato, poi quasi stregato, e infine irrimediabilmente posseduto. Adesso nei suoi occhi ribolle una nuova consapevolezza, un nuovo senso del dovere; nel suo sorriso, da cui sporgono un paio di canini dalle vaghe reminiscenze vampiresche, si rispecchia una subdola illuminazione. Una svolta epocale, inebriante seppur malvagia, o forse esaltante proprio perché malvagia!

Scarabocchiando come un forsennato, il nostro immagina occhi artificiali in ogni angolo della città, in lampioni e dispositivi; macchine per scrutare gli abitanti, per tenere a bada la popolazione, in qualche modo per nutrirsi delle vite degli altri (mettiamola così, tanto per citare l’ottimo film di von Donnersmarck).

E la situazione peggiora progressivamente: forse a corto d’inchiostro, l’impiegato, sempre sotto la maligna influenza dell’incanutito spettro, si incide il palmo di una mano e comincia a scrivere e disegnare col suo stesso sangue.

La sua mania di controllo, come una sorta di veleno, si propaga attraverso la pianta della metropoli, intaccando le strade e spargendosi nei privati domicili. Nel parossismo del delirio, piccoli edifici sorgono come funghi direttamente dalla mappa, poco prima che il calamaio si rovesci sul foglio, lasciando che il sangue di pece in esso raccolto vada a contagiare il resto del mondo.

A guisa di un super villain al culmine della propria megalomania, il mabusiano vecchietto si presenta evanescente di casa in casa, il suo volto severo si stampa nel cielo annuvolato, mentre chiazze di liquido scuro si tatuano sui visi degli inermi cittadini, persino fuoriuscendo dai loro occhi come in una macabra rappresentazione di orrore cosmico.

Paranoia e incubo trionfano in un finale di sconcertante cupezza, nel quale lo stesso impiegato posseduto si lascia intossicare dal veleno che ha contribuito a spandere, ormai invasivo come il torrente emoglobinico dell’Overlook Hotel di kubrickiana fama.

E se la ride il testone ciclopico del vecchio demoniaco, dall’alto della sua visuale al di sopra dei palazzi!

Un monito evergreen, in una veste deliziosamente antiquata.

ORANSSI PAZUZU. ZEV DEANS. 2020.

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