OMBRE E SENTIERI.
La traccia strumentale che chiude e dà il titolo al settimo album del musicista dubstep londinese è avvolta da una melodia circolare dai toni sommessi e che poggia su un incedere ritmico ridotto all’osso, lento e ipnotico, quasi sacrale.
L’incipit, fatto di immagini che si sovrappongono in modo stroboscopico, prelude ad uno scenario rarefatto e senza tempo in cui convergono pensose coreografie tra il mistico e il cinema autoriale d’avanguardia coi suoi enigmi e i suoi fascinosi simbolismi.
In alcune delle sequenze al ralenti, si distingue facilmente la figura dello stesso James Blake, nelle vesti di un eremita oscuro o un asceta che porta sulle spalle, tra le dune, il suo alter ego sonoro, un enorme guscio di metallo montato su un congegno elettronico, forse una specie di conchiglia di grammofono attualizzata, non si sa se per captare o emettere sonorità all’intorno.
Il francese Thibaut Grevet mette in scena con spirito nostalgico, una specie di esodo pacato e dall’atmosfera surreale, caratterizzato dalla presenza di sagome scure dai tratti somatici indefiniti e stagliate contro uno sfondo plumbeo che percorrono una dietro l’altra un sentiero prestabilito, come una lunga fila di formiche o come un rigagnolo nero che segue il proprio corso, perdendosi all’orizzonte dietro le colline, mentre in cielo si presenta l’immagine frastagliata e “glitchata” di alcuni neri volatili…
Inquadrature febbricitanti dal forte impatto grafico costituito da poche gradazioni di grigio e nero, sovrapposizioni sfalsate di fotogrammi in cui uomini/ombre e ambientazioni sabbiose sfocate si “sporcano” l’un l’altra per poi placarsi in un equilibrio pittorico e minimale; una realtà tendente all’onirico e uno stile cupo che può ricordare certo cinema dell’espressionismo storico e oltre, o anche, azzardando un po’, allo sperimentalismo della cineasta newyorkese Maya Deren.
JAMES BLAKE. THIBAUT GREVET. 2023.