UN PO’ DI STORIA NON PERFETTA.
Cercherò di farla breve e senza troppa enfasi.
Anni ‘80 circa. New York, King street: Paradise Garage. Meglio conosciuto come The Garage. È un club, un locale incastrato al secondo piano di un parcheggio a più piani del centro della city.
Lì si fa musica. Per un decennio è il locale di riferimento per il mondo culturale e artistico della New York (e quindi del mondo) che ha creato la maggior parte dei flussi, dei linguaggi e delle opere degli anni a venire.
The Garage era il posto della musica e non solo come attrazione o intrattenimento – club a vocazione gay che poi si è aperto tranquillamente ad ogni forma eterogenea – ma soprattutto perché quello era il luogo dove accadevano gli incontri, nascevano collaborazioni e sperimentazioni, la musica andava oltre il mercato e le mode, creandone di nuove.
Dentro c’è stato di tutto: dai Clash ai New Order passando per Amanda Lear o Natalie Cole tanto per fare degli esempi.
Lì la gente si frequentava, si conosceva e faceva accadere cose e la gente che sto dicendo erano artisti, musicisti, produttori, editori, scrittori, modelle e modelli, DJ… i più grandi del momento.
La leggenda dice che Mick Jagger abbia giocato con Grace Jones a scrivere una canzone su come è difficile essere perfetto per il proprio partner mentre sei perfetto per tanti fans e ha scritto questa prima frase che è diventata argomento e titolo, poi ha lasciato il gioco lì.
È diventato prima il singolo di lancio dell’album Inside story e poi il più grande successo della Jones.
La produzione propone alla stessa Grace di dirigere il video promozionale che accetta ma poi entra nel panico e chiede aiuto agli amici del Garage. Il video sarà pieno di queste amicizie ma tra tutti spiccano i suoi amici Keith Haring e Andy Warol.
Il video, farcito di effetti datati e ai nostri occhi un po’ ingenui (neanche a dirlo molto anni ottanta) è una carrellata di torture estetiche e psichiche che Grace Jones accetta di subire per raggiungere quella perfezione che crede di dovere possedere per andare bene al suo partner. E quindi ci sono le cose più scontate alle quali le donne spesso si sottomettono come cerette o massaggi con poltiglie insopportabili, per arrivare ad agopuntura e fisioterapia aggressiva, fino ad una seduta psicoterapica piuttosto brutale.
Nel frattempo i fans adoranti la acclamano.
Il tutto viene inframezzato da primi piani di personaggi, gli amici di Grace, che inquadrati per un attimo dicono la loro idea sulla perfezione.
Il video è importante e ha per me un valore vagamente nostalgico proprio perché, al di là del contenuto contingente, testimonia un’epoca e un modo di fare che non esiste più (ammesso sia esistito altrove): artisti famosi e addirittura miliardari che non si sono mai scostati dalla cultura o dall’atteggiamento underground e proprio per questo hanno messo a disposizione se stessi e la loro arte solo per arrivare a realizzare un video clip.
Il video mostra un Keith Haring giovane e forte dipingere i suoi segni distintivi in un enorme panneggio tondo con la semplicità e la naturalezza che lo hanno sempre contraddistinto. Questo disco di più di sessanta metri di diametro diventerà a breve l’abito di Grace Jomes, la sua grandissima gonna che come una Madonna del 400 ospiterà sotto tutti i suoi fans. Ecco qui l’immagine forse più iconica e sintetica di un’epoca e di un luogo che ha fatto una storia che tutti hanno usato e razziato (vedi la pubblicità e la cultura di massa) ma che velocemente si è dimenticata: quella dea nera in cima ad una piramide bianca dipinta dal più famoso degli artisti di quel tempo che dice: io non sono perfetta!
GRACE JONES. GRACE JONES. 1986.