WE ARE NO ROBOTS, WE ARE MEN.
Osservatori spaziali aprono lo sguardo alle esplosioni con filamenti luminosi che provengono forse da lontane galassie, dalla materia celeste alla materia umana passando per l’intelligenza artificiale. Immagazzinare per plasmare nuove varietà della specie umana.
Un tema di grande attualità che viene svolto dai parigini Lost in Kiev con supporto di immagini che colpiscono per la loro bellezza e che sono loro stessi a creare e proiettare durante i live-acts.
Un minuto e mezzo iniziale in cui non c’è altro che gas e colori, poi, al novantesimo secondo è ben raffigurato l’anello di congiunzione e l’essere umano viene a costituirsi nei suoi lineamenti, nel reticolo venoso dove il sangue scorre consentendo i movimenti della persona, tutto artificiale quanto perfetto.
Arrivano gli impulsi e tutto prende vita la nave al varo prende il largo. La fabbrica ha prodotto ciò che gli è stato commissionato. Niente a che vedere con i robots descritti dai Kraftwerk quarantacinque anni or sono, non c’è nulla di meccanico, gli impulsi sono trasmessi e animano i corpi studiati in ogni dettaglio.
La tecnologia portata al suo estremo ha prodotto una nuova forma di vita, un Uomo nuovo tutto da scoprire. Favorevoli o contrari? Opinione personale, basta che non siano tutti juventini.
LOST IN KIEV. YOANN VERMEULEN.