ANCHE LA TERRA VA IN CRASH.
Mentre nel mondo reale si appropinqua l’inevitabile fine del pianeta, nel labirinto cibernetico del mondo virtuale imperversa un bug di programmazione. Potrebbe essere questa la chiave di lettura del complesso e affascinante video diretto da Gustaf Holtenäs, da lui stesso definito come un misto fra Melancholia di Lars Von Trier e Inception di Christopher Nolan.
Ma più si guarda il clip, più ci si rende conto di quanto la molteplicità di dettagli visivi, di particolari in background, di simbolismi e di riferimenti artistici, apra scorci interpretativi che non trovano spazio nella ristrettezza testuale di una semplice sinossi.
All’abbondanza di citazioni grafiche si accosta l’eclettismo formale del creatore, che nel corso della vicenda passerà dall’animazione di matrice tradizionale in 2D a quella digitale in 3D, fino ad approdare nella live action.
A detta del regista, l’idea di intrecciare stili grafici così differenti sarebbe dovuta essenzialmente a esigenze tempistiche: impossibile produrre in tempi brevi 6 minuti di buona animazione “alla vecchia maniera”, frame by frame! Meglio dunque divertirsi con gli stili, mescolarli e legarli fra loro mediante una traccia narrativa pensata ad hoc. Dopotutto lo sperimentalismo del qui presente brano, proveniente dall’ispiratissima vena inventiva dei Black Midi, si sposa perfettamente a tale processo creativo.
Mater artium necessitas, è proprio il caso di dire!
Partiamo per l’appunto in un universo a cartoni animati, fra martelli antropomorfizzati dalle parti del pinkfloydiano The Wall e riecheggiamenti concettuali di Akira, che testimoniano il vasto range espressivo e ideativo del regista, con un occhio di riguardo soprattutto verso l’arte nipponica (si ammirino gli incantevoli e precisissimi sfondi, magicamente sospesi fra il favolistico e il futuristico).
Protagonista della scena è uno strano tipetto robotico dalle forme elementari, probabilmente un cyborg, che sfreccia a bordo di una moto e corre senza sosta, inseguito da un mucchio di testoni blu fluttuanti in stile Pac-Man – in apparenza apparecchiature adibite alla tutela dell’ordine. Un ribelle di un’altra dimensione o di un’altra era, insomma, un ribelle veloce e tenace, in grado fra le altre cose di schizzare in aria protetto da una bolla di energia.
Ma neppure questi trucchetti gli saranno utili contro l’inesorabile, incombente minaccia che sta arrivando dal cielo: non appena i suoi occhi incrociano una massa di imprecisata natura che comincia a distinguersi fra le nubi, il robot cade rovinosamente in pezzi.
Passiamo repentinamente oltre, in un mondo in bianco e nero che sembra uscito da qualche gioco di ruolo online: un eroe in vesti medievali si fa largo attraverso ambienti fantastici, in mezzo ad architetture aliene, fra creature che non si trovano sui normali libri di biologia.
Anch’egli soccomberà, colto da una sorta di crisi neurologica che compromette tanto lui quanto il luogo stesso ove risiede.
Ed è qui che capiamo l’inghippo: quelli che abbiamo osservato sinora non erano universi reali, ma mondi virtuali partoriti da una programmatrice e sviluppatrice di videogiochi. È stato un “catastrofico” errore del software a determinare la morte dei due soggetti… Una rivelazione degna di un episodio di Black Mirror!
Ma non è finita qui: sembra infatti che la “catastrofe” stia per abbattersi anche nella dimensione fisica, e che abbia proprio la forma di un enorme corpo celeste in rotta di collisione con la Terra.
Abbandonato il suo progetto videoludico, la programmatrice si avvia con amara consapevolezza (e forse con un cupo sentore di confortante accettazione) ad accogliere la micidiale meteora in arrivo.
Sarà per l’appunto uno dei detriti dell’asteroide a troncare la vita – in ogni senso, per il sollazzo dei consumatori di cinema splatter! – della donna, che terminerà la propria esistenza ridotta a un tronco umano, frantumata come quelle creature di pixel e di script alle quali aveva dato vita.
Tre mondi diversi che finiscono nell’uniformità di una tragedia apocalittica, e dei quali non è mai del tutto chiaro quale sia l’ordine di appartenenza: può forse essere che persino l’universo “reale” non sia altro che una simulazione digitale?
O, se vogliamo buttarla sul meta, che tutto questo sia solamente un videoclip su YouTube?
Sia come sia, il ritorno del robottino rivoltoso nel finale fonda le basi per un sequel…
BLACK MIDI. GUSTAF HOLTENÄS. 2021.