CARBON 7 (161) / JLIN (JOJI KOYAMA)

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UN CONTORSIONISTA DA CAPANNONE.

Apertura di sicuro effetto: all’interno di quello che si direbbe un hangar aeroportuale abbandonato, un tizio in pantaloncini e calze se ne sta accovacciato su una sedia, esibendosi in un numero spropositato di smorfie, boccacce e acrobazie linguali.

Proprio quando verrebbe da suggerirgli di fermarsi per non rischiare un brutto strappo dei muscoli facciali, il nostro si spinge decisamente oltre: quegli strampalati spasmi cominciano a propagarsi come una grave infezione dal volto al resto del corpo, animandolo grottescamente dalla testa ai piedi.

Il fisico asciutto e atletico del ballerino Corey Scott-Gilbert, che per l’occasione si coreografa da solo, si esibisce così in una danza folle e febbrile, come se un invisibile burattinaio sotto amfetamine (o magari un demone biblico!) ne avesse preso furiosamente possesso.

Seguendo con impressionante coerenza sincronica il sound elettronicamente delirante e il ritmo convulso del brano di Jerrilynn Patton (in arte Jlin), l’attore percorre in lungo e in largo il polveroso deposito a furia di balzi, contorsioni, piegamenti e avvitamenti innaturali.

Ogni fibra sottocutanea pare muoversi di sua spontanea volontà, la spina dorsale s’incurva, gli arti si flettono, il collo rotea, l’intera struttura ossea sembra deformarsi irrimediabilmente.

La precisione tempistica di Scott-Gilbert, la sua straordinaria flessibilità e l’assurdità delle sue composizioni corporali fanno talvolta sorgere il dubbio che l’intera scena possa rivelarsi un’elaboratissima animazione di CGI!

Passo dopo passo, nota dopo nota, l’uomo si cristallizza in istantanee sculture umane in perturbante disequilibrio compositivo, transitando dall’una all’altra con eccezionale disinvoltura e ricreando in tal modo un’ambigua, ipnotica armonia tersicorea.

Vederlo interagire in maniera apparentemente casuale con vecchie seggiole, materiali edilizi accatastati alla rinfusa, tappetoni imbottiti e passerelle d’imbarco, che di volta in volta diventano parte integrante dello spettacolo, lascia semplicemente a bocca aperta: lo sguardo affascinato del pubblico segue ogni singola mossa, avvinto dall’aura di estemporaneità dell’azione.

Merito anche dell’accorta regia di Joji Koyama, che, col sostegno di Matthias Graatz in fase editing, scompone la danza nel minor numero possibile di segmenti, dando la sensazione di assistere a un unico, sbalorditivo piano sequenza.

Non dimentichiamo, poi, la pregevole fotografia di Cezary Zacharewicz, capace di esaltare le curve dei pettorali, i rilievi degli addominali, le mutevoli forme dei bicipiti e tricipiti con finissima meticolosità.

La musica come suprema manovratrice di psiche e corpo, le capacità di autocontrollo e la maestria agonistica del protagonista, la statuaria eleganza che trapela da ciascun fotogramma: chi si diletta nello studio dell’anatomia umana, che sia pittore o medico, col qui presente video potrà farlo in gran stile.

Gli altri si rilassino e si godano l’inquietante frenesia della bellezza!

JLIN. JOJI KOYAMA. 2017.

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