IT JUST IS / DÄLEK (MATT ROSENBAUM)

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IL MACABRO SOGNO DI UN’ANIMA PERDUTA.

Una casa di campagna immersa in una notte eterna. Solo le finestre si stagliano nel muro di tenebra circostante. Immagini scure e tremendamente pixelate: un attimo, c’è forse un problema con il Wi-Fi? No, sembra proprio che la risoluzione sia ben salda su 1080p, il simboletto dell’ingranaggio di YouTube non mente. È il video stesso a essere sgranato.

Si tratta infatti dell’impronta stilistica che il regista Matt Rosenbaum ha adottato in questa sede, optando per riprese lo-fi simili a quelle che offrirebbe una vecchia webcam, o un videofonino della prima sfornata, o una registrazione digitalizzata di qualche security cam dei tardi anni ’90.

Riprese distorte, alienate e alienanti, che l’oscurità imperante rende persino più criptiche, ostacolando il discernimento dei soggetti sullo sfondo, e giocando con le nostre umanissime tendenze pareidoliche.

In un simile contesto grafico, il confine fra ciò che crediamo di vedere ma che in realtà non esiste, e ciò che al contrario non riusciamo a scorgere ma che è invece davanti ai nostri occhi, si fa spaventosamente sottile.

E non è forse esattamente questa l’essenza della paura del buio che da bambini ci teneva svegli la notte? Un giaccone appeso in un angolo della stanza diventa l’ombra del Babau, e il nero profondo di un armadio a muro cela invisibili mostri con lo sguardo fisso sul nostro lettino.

Il chiacchierato horror sperimentale Skinamarink si basa interamente su tale concetto, servendosi non a caso della medesima veste formale adoperata da Rosenbaum: non ci si stupirebbe se un domani Kyle Edward Ball venisse citato per plagio!

Ma a differenza del suddetto film, il video in esame non si sofferma sui dettagli periferici della scenografia: la macchina da presa non indugia su elementi di norma lasciati in secondo piano, ma si focalizza su alcuni precisi soggetti, che per la loro natura enigmaticamente “eerie” vanno a nutrire il generale senso di straniamento.

La colonna sonora offerta dai Dälek corrobora questo denso crescendo di angoscia: dopo un’inquietante introduzione costruita su misteriosi sussurri, fruscii ambientali e stridii di note malinconiche, s’innalza un gracchiante canto hip hop che devia dall’ordinarietà acustica di un comune prodotto terrifico.

Già, perché con una canonica composizione di cacofonie lugubri sarebbe sin troppo semplice estrarre il succo del perturbante dalle immagini proposte…

Quando l’azione si sposta dall’esterno della casa al suo interno, lo spettatore viene inesorabilmente trascinato in un vero e proprio tunnel dell’incubo, arpionato dalle grinfie di un demone della psiche che si alimenta di paura e follia.

Nell’unitarietà di una fotografia bluastra, certe intromissioni di rosso purpureo sullo sfondo richiamano alla mente il Lynch più onirico e surreale, mentre l’eccentrica teatralità della messinscena suona come una degenerazione moderna della vecchia scuola espressionista.

I due abitatori della fattoria, un uomo e una donna, sembrano usciti da qualche succedaneo pittorico dell’American gothic di Grant Wood.

Quando non si cimenta in terrorizzanti sguardi in camera, la coppia trascorre il tempo rimirando le pareti della propria abitazione o perdendosi in loop motori insensati. Camminare in circolo senza un apparente motivo, sfondare la porta della cascina a colpi di forcone, spiare presunte entità fantasmiche che si dimenano in camera da letto, contemplare la vastità dell’universo meditando sulla terribile vacuità dell’esistenza… Come anime senza pace, condannate ad assurde punizioni purgatoriali, imprigionate in un limbo rurale in attesa di un’alba che non arriverà mai.

Il deperimento di carne e spirito che la famiglia Usher di Poe conosce bene va a braccetto con l’innominabile abominio cosmico di H.P. Lovecraft, fra colori venuti dallo spazio e stelle fagocitate dalla bocca dell’oblio che squarcia la volta celeste.

E andrà anche peggio quando, a poco a poco, dalle tenebre emergeranno le sagome di altri singolari personaggi: uomini dai fisici asciutti e mezzi spogli, che ricordano la miserabile “gente del sottoscala” che popolava La casa nera di Wes Craven, e soprattutto un non meglio identificato mostro con grossi occhi luminosi e un sorriso irto di denti aguzzi, degno compagnuccio spettrale della Jodie di Amityville horror.

Sarà appunto sulla creatura che calerà il sipario del video, lasciando un forcone senza padrone posato accanto alle porte battenti di un fienile.

Quale sia la sorte toccata ai due protagonisti non verrà rivelato, e forse non si saprà mai.

Ma chi fosse mortalmente curioso di scoprirlo, farebbe bene a procurarsi una tavoletta ouija e tanti amuleti!

DÄLEK. MATT ROSENBAUM. 2021.

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