GREYHOUND / GREENHOUSE (AIDAN CHEEATOW)

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IL MIGLIOR AMICO DI UN UOMO.

Esiste un sito chiamato “Does the dog die?”: in pratica un contenitore di spoiler per film, serie TV e libri che rivela se uno o più amici a quattro zampe moriranno nel corso della storia.

Insomma, sono evidentemente molti gli spettatori sensibili a certi argomenti, e che davvero non riescono a reggere lo struggente climax di Zanna Gialla o il famigerato finale di Io & Marley. Meglio quindi saperlo in anticipo e premunirsi con pacchi di fazzoletti doppio velo.

Piccola premessa per avvertire i lettori che, anche nel caso del video firmato dal canadese Aidan Cheeatow, si consiglia una certa cautela da parte dei più accaniti cinofili.

Non che sia necessario essere abbonati alla rivista Modern Dog per sentirsi un grumo di pianto intrappolato in gola durante la visione: la pura semplicità del concept e la lenta malinconia che guida il brano dei canadesi Greenhouse sono già più che sufficienti.

Il clip si apre sull’immagine di un signore anziano, vestito in maniera distinta, che restando immobile, in posa fotografica, espone il suo vecchio levriero in tenuta da corsa: pettorina con numero cucito sopra, museruola ben salda, guinzaglio penzolante.

Il primo piano dell’animale mostra i segni di una salute non proprio smagliante, a partire dalla mancanza dell’occhio sinistro, perso forse in qualche antico incidente di gara.

Una coppia di annosi compagni, memori di un passato certamente glorioso, sebbene nei loro sguardi non si legga altro che un gran bisogno di riposo e di riservatezza, voltando forse le spalle a qualche taciuto rimorso.

I due abitano in una casa di legno circondata dai boschi, condividendo gli spazi di tutti i giorni, compresa la stanza da letto. Esattamente qui capeggiano i trofei collezionati negli anni, fra coppe, medaglie e targhe di ogni specie.

Seguiamo l’uomo durante il suo trantran quotidiano: sveglia alla mattina, colazione con uova, un viaggio in macchina… Senza fretta, prendendosi i suoi tempi. E il suo fedele amico non lo abbandona un istante.

O almeno è ciò che parrebbe: basta uno stacco di inquadratura, un controcampo sfuggente, per far capire che quella cuccia, in realtà, è vuota… che nessuna ciotola è sistemata accanto alla tavola in sala da pranzo… che nessun passeggero – umano o canide che sia – siede a fianco del guidatore.

Ci vuole poco per collegare i puntini e capire che quelli dell’uomo sono solamente ricordi, che il suo corridore quadrupede lo ha abbandonato ormai da qualche tempo, che il passato e il presente si sovrappongono nel montaggio del video con mesta naturalezza.

Ma nel volto del protagonista – delicatissima l’interpretazione di Peter Higginson – non si scorge l’orgoglio dei successi trascorsi, non c’è fierezza per i trionfi raccolti, solo l’amarezza dell’attuale solitudine, e forse qualche senso di colpa per una logorante carriera che sicuramente non è stato il cane a scegliere per sé.

Grazie a uno split screen scopriamo infine la meta di quel viaggio in auto: quella che una volta fu una visita dal veterinario, forse in previsione di una diagnosi poco rassicurante, oggi è un check-up dal medico, dagli esiti presumibilmente simili. Incredibile come un parallelismo così azzardato e paradossale fra il corpo umano e l’organismo canino, nel giusto contesto, riesca a eludere qualsiasi forma di ironia!

Tornando a casa dopo una flebo, proprio come fu per il suo compare, l’anziano ha modo di meditare ulteriormente sul tramonto della vita, sul significato della stessa (ammesso che ne abbia uno), sul desiderio di sollievo dopo i travagli di un’esistenza forse non così soddisfacente come poteva sembrare un tempo.

Calata la sera, il vecchio decide di reagire alla frustrazione che lo affligge, accende un falò nel suo prato, arrivando addirittura a spaccare una sedia per procurarsi prontamente della legna da ardere. Qui, sotto l’occhio placido del levriero fantasma, l’uomo improvvisa un vero e proprio rituale di espiazione e liberazione, gettando tra le fiamme la museruola dell’animale, simbolo di tutte le costrizioni – fisiche e non solo – subite da quest’ultimo.

La piccola gabbia si fonde lentamente, sfrigola, lascia ogni traccia di sé dal mondo, donando così allo spirito di Ollie – questo il nome della bestiola, come scopriremo nella dedica in chiusura – un po’ di meritata requie. Un sentimento ora condiviso anche dall’animo del suo padrone.

Facciamoli anche di quattro veli, quei fazzoletti!

GREENHOUSE. AIDAN CHEEATOW. 2021.

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