UN “BAMBI” ALLA ROVESCIA.
La poesia può estrapolare la bellezza e l’armonia anche dagli eventi più tragici e funesti che la mente umana possa concepire.
Più in generale, si può dire che ogni forma d’arte sia in grado di sublimare il dolore e il male di vivere; eppure, guardando il video diretto da Drew Bourdet, è alla poesia che si è istintivamente portati a pensare.
Il lirismo che traspare dall’avvolgente lentezza del ritmo, dalla scelta delle inquadrature, dalla pittorica gentilezza della fotografia di Dustin Lane, dall’inimitabile grana visiva data dal 35mm, dall’uso amaramente simbolico delle immagini, dalla stessa drammaticità del concept, è degno di una grande, straziante elegia.
Superfluo aggiungere che l’ossatura sonora offerta dal brano di Monteagle (moniker del cantante Justin Giles Wilcox da Brooklyn) compatta ulteriormente l’aspra soavità del clip.
Non esiste forse sofferenza peggiore di quella che prova una madre quando perde la sua creatura, ed è esattamente questa la materia che il regista elabora in una pacata quanto devastante riflessione sull’elaborazione del più atroce dei lutti.
Ci troviamo nella campagna californiana, in un quando indefinito ma collocabile nella prima metà del secolo passato, e una giovane signora, in abiti semplici, siede nel suo modesto salotto, tormentandosi mutamente davanti a una piccola tavola apparecchiata.
La mano di un uomo, quasi certamente il marito, le si posa su una spalla in segno di affetto, compassione, conforto.
Lei, delicatamente, spontaneamente, si carezza il ventre. Un ventre piatto.
Fiori secchi posano funerei su un mobiletto in legno, una macchia di sangue turba il candore di un lenzuolo messo a stendere, colonie di piccoli insetti brulicano infestando mucchietti di frutta tagliata e lasciata a marcire.
Nel frattempo, una cerbiatta vaga come intimidita per i campi infecondi, da sola.
Sono tutti piccoli indizi che, pian piano, andranno a svelare il nefasto evento celato sotto quei tetri silenzi.
Mentre erra con aria assorta per l’area campestre, senza un’apparente meta, la donna incappa in un cerbiatto morto. La maledizione di Bambi sembra aver colpito ancora, solo che questa volta è stato il Principino a soccombere.
Un piccolo corpo privo di vita, sintesi figurativa di una purezza spezzata, di una tenerezza primaverile mutata ingiustamente in glaciale desolazione.
Il turbinio di pensieri che tempesta visibilmente la protagonista sta di certo smuovendo in lei i ricordi di una recente afflizione, di una perdita irreparabile ormai palese per tutti.
Carpita dalle grinfie di un istinto materno tradito dal Fato, la nostra raccoglie il cucciolo dal terreno e lo porta con sé in grembo, fino a casa. Una scena forte a prescindere dal contesto, tanto da far supporre che lo sguardo angosciato dell’attrice Lauren Rourke non sia soltanto il frutto di una convincente performance.
La donna si dispera, piange stringendo l’animale fra la braccia, finché questo non scompare dalla scena, dopo appena uno stacco di montaggio.
La bestiola deceduta, così come mamma cerbiatta – che vediamo aggirarsi per l’abitazione – forse non sono altro che una proiezione metaforica, diciamo pure spirituale, di questo dramma intimo.
Dopo aver accoccolato il piccolo in un giaciglio di fiori, offrendogli così un degno riposo funebre, la donna sembra pronta a confrontarsi a poco a poco con la realtà: riporta dentro i panni stesi in giardino, mentre i fiori secchi che prima poggiavano inerti sul mobile ligneo, emergono ora dal pavimento, come germogli di un vago sentore di speranza e di rinascita.
Nell’ultima sequenza, la mamma umana e la mamma animale stanno l’una di fronte all’altra, contemplando il proprio comune supplizio, incoraggiandosi a vicenda con implicita e reciproca comprensione.
E noi auguriamo a entrambe un po’ di luce nel futuro che le attende.
MONETAGLE. DREW BOURDET. 2019.