UN DOLCE LIMBO.
A La Puente, in California, sorge uno dei più appariscenti negozi di ciambelle del mondo: il Donut Hole è noto per la sua bizzarra forma a galleria, ma soprattutto per le ciclopiche ciambelle che adornano l’entrata e l’uscita della struttura.
Percorrendolo, si ha insomma la sensazione di tuffarsi in un enorme buco di ciambella, e magari di venirne fuori con una bella scatola di donut colorati, come quelli che si pappano gli sbirri nei telefilm americani.
Be’, ad attraversare un buco di ciambella, a questo punto, sono capaci tutti… ma come sarebbe volarci in mezzo?
Che cosa potrebbe mai provare un uccello, un insetto, magari una piccola mosca…? O addirittura un’anima vagante che si sia stufata di fluttuare per i cieli del mondo e voglia concedersi qualche momento di pazzia?
Certamente deve esserselo chiesto Andrew Norman Wilson: ispirato dalla musica di Daniel Lopatin (in arte Oneohtrix Point Never), che già di per sé rende propensi a simili quesiti esistenziali, il filmmaker ha tentato di darsi una risposta col qui presente video.
Sfruttando suggestive – nonché tecnicamente impressionanti – riprese aeree con drone, accorti tocchi di grafica digitale e un uso sapiente del montaggio, Wilson mette in scena un flusso continuo di giri della morte lungo il bizzarro tunnel dolciario.
Giro, dopo giro, dopo giro…
La macchina da presa diventa dunque l’occhio di un essere invisibile che, per gioco o per condanna, è rimasto intrappolato in uno strampalato loop, un vortice spiazzante e quasi spaventoso, eppure dolcemente ipnotico, come l’evocativo sound dell’artista di Brooklyn ci tiene a suggerire.
E se già la faccenda suona surreale di per sé, è solo adesso che accade l’impensabile.
La galleria si trasforma all’improvviso in una sorta di imbuto scuro, con le pareti ricoperte da minuscole ciambelle; fuori dal passaggio, il becco famelico di un avvoltoio attende l’incorporeo viaggiatore, pronto a godersi un inquietante spuntino.
È la conclusione del trip. Il buio dell’oblio. Ma forse nulla ha davvero una fine.
La musica cambia registro: uno scampanellio di suoni elettronici scaraventa l’ascoltatore in un reame nuovo, frastornante, lisergico.
Piccole luci auree brillano nell’oscurità, accompagnando lo spettatore allo stadio successivo di questo assurdo percorso.
Una lecitissima domanda sorge a questo punto spontanea: che diamine sta succedendo?
Le ipotesi a tal proposito si sprecano, ma quel che è indubbio è che ora l’ineffabile volatore in POV si ritrova nuovamente sospeso nell’aria a qualche decina di metri di altezza.
Come se avesse appena ricominciato il livello di un videogioco, il nostro amichetto si lancia in sinuosi slalom aerei, alla ricerca del “suo” buco prediletto.
E lo trova. Lo ritrova. Lo trova di nuovo.
La traccia di Lopatin ingrana dunque la marcia, e s’innalza in un crescendo sonoro dai riverberi quasi angoscianti: i movimenti del drone si fanno frenetici, le sue giravolte impetuose, i tuffi spasmodici…
La scena si ripete in un ciclo degno di un limbo ultraterreno; la galleria dei donut, ora più simile a un varco spazio-temporale, muta in ammassi di materia organica – roba che farebbe la gioia dei fan di David Cronenberg! – o in lunghissime spirali bianche e nere.
Ma alla fine, si torna sempre all’avvoltoio, giù per la sua insaziabile gola.
E la partita inizia daccapo.
Pare di assistere a una punizione divina a un passo dal mito di Prometeo, con un surplus psichedelico che non guasta mai.
Infine il suono si acquieta, la macchina da presa si arresta; anzi, fa persino marcia indietro. Esce dalla ciambella da cui era entrata, e con calma va a posarsi sulla scultura di un gufo, che si erge poco distante da lì.
Gli occhi del rapace brillano di luce propria.
Una lecitissima domanda sorge a questo punto spontanea: che diamine sta succedendo?
Un momento! Forse anche noi siamo entrati in un loop…?
ONEOHTRIX POINT NEVER. ANDREW NORMAN WILSON. 2024.