DIGITAL WITNESS / ST. VINCENT (CHINO MOYA)

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UNA REALTÀ AVVELENATA DI NORMALITÀ.

Benvenuti nel meraviglioso mondo moderno: comodo, pulito e con tutto quello che ti serve, a disposizione con un click. Il meraviglioso mondo dove i sentimenti sono un’antica pratica desueta, la personalità una specifica da curare e proteggere con l’ultimo vestitino alla moda e la vita è una splendida coreografia lineare e ripetitiva cadenzata al ritmo della più trendy e virale playlist del momento.

In questo mondo stupendo, fatto di sgargianti sorrisi ed eccellenti performance, tutto è ben calibrato in un perfetto ciclo “circadiano” di alternanza tra produzione e svago: dall’impegno dal lunedì al venerdì imposto dal lavoro e dalle responsabilità, allo sfrenato divertimento obbligato del weekend, in una perpetua giostra di insensibilità e frustrazione.

È la nostra consueta e quotidiana pantomima fatta di azioni banali e superficiali che scambiamo per gesti d’affetto, essere qualcuno, essere utili o, peggio, fare la differenza. Con i nostri amori travolgenti e passionali che si esprimono nella sola presenza, accanto a qualcuno, smartphone alla mano, convinti di condividere momenti di qualità.

Ci commuoviamo per la pubblicità con bambini e vecchi, ci inteneriamo per gattini che saltano e sbuffano sui social e ci indigniamo giustamente per le stressanti file per l’ultimo iPhone con il rischio di non averne uno alla fine, nonostante la prevendita.

Siamo delle piccole macchine idiote che nel loro torpore mentale non avevano altro che da anelare un’intelligenza artificiale che svolgesse diligente i compitini che abbiamo, lasciando inalterate e inespresse le poche capacità che la natura ci aveva concesso.

Tutta questa desolazione lucida e perfetta ci viene restituita nel video Digital Witness che sembra una buffa parodia esagerata, ma è invece l’evidente baratro che ci viene velocemente incontro…

Nel video diretto da Chino Moya, vediamo Annie Clark, alias St. Vincent, muoversi in un ambiente che sembra sterile e controllato, simbolo di una società sempre più dominata dalla tecnologia: più che abitazioni sono contenitori per esseri umani addomesticati e oggi le nostre periferie ne sanno qualcosa. Non una finestra, non uno spiraglio da cui lasciar entrare il vario della vita. Ogni palazzo è cieco, ogni stanza sigillata, perché nulla possa disturbare la pace artificiale di questa esistenza ben ordinata e priva di imprevisti.

I suoi abitanti si muovono con gesti ripetitivi e innaturali, privi di stimoli e di vita, come se vivere fosse un programma scritto con orari, coincidenze, scadenze e compiti da eseguire senza variazioni.

In questo video, brillante, ironico e terrificante, il mondo moderno ci viene restituito in tutta la sua desolazione lucida e perfetta: sempre più attori passivi di una vita meccanica. Gesti ripetuti di una quotidianità talmente addomesticata da sembrare coreografata sempre uguale. Persone che camminano, si siedono, sollevano lo sguardo… senza che ci sia mai un barlume di vita dietro quegli occhi vuoti perché, forse, troppo impegnati a sperare altro, ad aspirare ad un ruolo più grande, ad un successo più esclusivo, ad una ricchezza più grande.

Il pericolo è che noi stessi siamo ormai abituati a questa realtà, tanto da non riuscire nemmeno a vederne l’assurdità. La vita, con tutte le sue brutture, è diventata così familiare che non ci indigniamo più di nulla. Siamo bombardati da immagini di violenza, ingiustizia e sofferenza, ma riusciamo a malapena a sollevare un sopracciglio prima di passare al prossimo video del cane che balla. Ci indigniamo in maniera travolgente ed eroica per le ingiustizie terribili del parcheggio rubato o degli schiamazzi dei bambini del vicino e ci battiamo per riportare la giustizia, ma il resto ci lascia indifferenti, non ci riguarda e siamo ormai così assuefatti da non riuscire nemmeno a reagire.

Ammettiamolo su: viviamo perlopiù vite avare. In questo mondo perfetto, la generosità e la profondità dei sentimenti sono stati rimpiazzati da una socializzazione ipocrita e in cui ci mostriamo sempre brillanti e positivi, anche se dentro di noi c’è il vuoto dell’abisso. L’importante è apparire felici, perfetti, cercando di assomigliare sempre più all’immagine che abbiamo deciso di proiettare sui nostri profili social.

Il video è buffo e ridicolo. È un videoclip e serve per vendere la canzone e poco altro, non è una denuncia sociale. È una vignetta buffa che rappresenta senz’altro, non noi, ma i nostri vicini, i nostri stupidi colleghi, qualcun altro insomma. E invece no: rischiamo di vivere sempre più in una realtà avvelenati di normalità.

Allora “Digital Witness” non è solo un videoclip: è una riflessione su come viviamo nell’era digitale. La canzone invita a considerare quanto siamo disposti a sacrificare della nostra umanità in cambio della comodità tecnologica. Con questo video St. Vincent riesce a catturare l’essenza di questo dilemma.

Forse è arrivato il momento di spegnere gli schermi e correre liberi per strada, facendo attenzione che anche questo non diventi solo un’altra coreografia da aggiungere alla playlist.

ST. VINCENT. CHINO MOYA. 2014.

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