CAN YOU HEAR ME / ALAN SPARHAWK (RICK ALVERSON) 

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L’OSCURITÀ DEL BARATRO O LA LUCE ALLA FINE DEL TUNNEL?

Un video oscuro, parole oscure occultate dall’effetto autotune sparato al massimo, un suono post-industriale dai battiti cangianti ci avvolge e ci travolge mentre il protagonista dal volto pixellato traccia una linea di gesso sul pavimento. Si rinchiude in uno spazio limitato, in una baita di legno vuota, ma dal sapore nuovo, abbandonata non perché in decadenza, semplicemente abbandonata.

Il protagonista si rinchiude o ci esclude dal suo mondo con questo gesto lineare? I fotogrammi scorrono all’incontrario, la linea di gesso insicura si cancella invece di essere tracciata. Alan Sparhawk si avventura in una passeggiata notturna sulle montagne della Virginia dell’ovest, residenza di Rick Alverson, il regista, territorio oscuro e inesplorato per eccellenza, quanti fuorilegge si annidano in questi territori misteriosi? Fuorilegge o semplicemente persone che hanno scelto di vivere fuori dalla società? Alan è forse uno di loro? Le immagini attivate dal ritmo incalzante dei sintetizzatori, sembrano nascondere una realtà occulta, soprannaturale. Senza mai rivelare l’identità dell’anima vagante, persa nei meandri del suo inconscio, riconosciamo la silhouette di Alan, i suoi capelli sempre più lunghi, la salopette che indossa dai tempi dell’ultimo disco dei Low, “Hey What”, prima della morte della compagna del suo viaggio musicale e di vita, Mimi Parker

Viso pixellato, dapprima, poi tutta la sagoma diventa un pixel di luce in movimento, luci pixellate a seguire il ritmo, a nascondere invece di svelare, in una notte di luna piena, la vegetazione incolta, appena illuminata. Le luci si alternano alle immagini di Alan seguito dalla videocamera nel suo girovagare senza meta, vittima o carnefice, anima persa o in viaggio verso la salvezza. Nessun indizio nelle parole, improvvisate, apparentemente senza senso, nessun indizio nella musica elettronica ossessiva. 

“Can U Hear”, il titolo, l’unica traccia di significato. Accompagnata visivamente allo stralcio di canzone che è “Heaven”, un proseguimento visivo girato dallo stesso Alverson, con le peregrinazioni di Sparhawk che continuano nel paesaggio virginiano diurno. Anche se lui rimane una sagoma, un’ombra pixellata, le parole in “Heaven” si riconoscono: “Heaven is a lonely place when you are alone”. Tutta la composizione sembra un grido disperato alla ricerca di un contatto spirituale. 

Nel finale, i giochi di luce nel video principale, si fondono con un mazzo enorme di rose bianche, le rose del titolo dell’album completo “White Roses, My God”, un omaggio a Mimi, le rose bianche i suoi fiori preferiti. Sparhwak riprende a disegnare il cerchio che lo esclude dal resto del mondo, l’immagine si interrompe per dare spazio ai crediti e ai battiti che concludono la parte uditiva del pezzo. 

ALAN SPARHAWK. RICK ALVERSON. 2024.

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