INHUMANE HARVEST / CANNIBAL CORPSE (DAVID BRODSKY)

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AFFARI DI SANGUE.

Quando nel titolo di un video si legge il nome dei Cannibal Corpse, è lapalissiano aspettarsi uno spettacolino audiovisivo che non ci andrà giù leggero…

Così come è scontato imbattersi l’infamante timbro “age-restricted” che YouTube appioppa alle pecore nere della sua bella famigliola politicamente corretta.

E in effetti, il clip diretto da David Brodsky somiglia tanto a uno di quei film horror ultraviolenti che, soprattutto nella prima decade del 2000, saturavano cinema e videoteche.

È proprio all’immaginario del cosiddetto “torture porn” che il regista trae ispirazione, quel nutrito filone iniziato da pellicole come Hostel o i sequel più espliciti di Saw – L’enigmista.

In genere le storie ruotano attorno a gruppi più o meno numerosi di ragazzi (spesso turisti in zone remote del mondo) che, dopo aver perso conoscenza durante una serata di bagordi, si ritrovano imprigionati all’interno di edifici fatiscenti, in balia di pericolosi trafficanti di esseri umani.

Qui verranno mutilati e seviziati nelle maniere più truci, di solito per soddisfare le voglie di ricchi psicotici in cerca di malsane sensazioni forti o, più pragmaticamente, per il furto di organi destinati al mercato nero.

A questa seconda categoria sembra fare riferimento il videomaker: incoraggiato dalla pronosticata brutalità del brano, sotto i colpi dei death growl di George Fisher, l’autore scaraventa in medias res le giovani vittime della vicenda, mostrandocele direttamente nella tana del lupo.

Un ragazzo, privo di sensi, viene trascinato lungo un corridoio da due tipacci vestiti di nero, impassibili nello sguardo e nell’andatura. A poco a poco il poveretto si sveglia, e comincia a farsi un’idea dell’orrore che lo circonda: altre “prede” se ne stanno accovacciate lungo una parete, incatenate, mezze nude, come animali da macello, nell’attesa di una sorte che forse neanche immaginano per quanto è atroce.

A noi spettatori viene concesso il lusso di qualche indizio su quale sia il macabro fine degli aguzzini: diversi stacchi di montaggio anticipano dettagli di mani che rovistano in carni sanguinanti, manipolando calde interiora e ghiandole nascoste tra i tessuti, alla ricerca di qualche “pezzo” di valore.

Il giovane comincia a scalciare, invoca disperatamente aiuto, ma non c’è nessuno nei paraggi che possa o voglia soccorrerlo. I suoi compagni di sventura si limitano a guardarlo con pietosa comprensione, mentre un omaccione in tenuta da ufficio, seduto a una scrivania, se ne sta a contare mazzi di banconote, con agghiacciante indifferenza.

L’umanità di quelle creature è stata ormai annichilita, i loro corpi sono diventati semplice merce, squallidamente quantificabile in dollari come qualsiasi altro bene di consumo. Una volta usati, senza più valore, saranno cestinati e bruciati alla stregua di normali rifiuti. Nulla di personale, soltanto affari.

Ad un tratto, uno degli aguzzini recupera una ragazza dal mucchio di “donatori”, la libera dalle catene e la scaraventa su un lettino, quindi provvede a sedarla con un’iniezione. Per lei, questi mostri su due gambe hanno in serbo un trattamento speciale…

Nel frattempo, il giovane scalpitante è stato trasportato in una stanza adibita a sala chirurgica, legato a un tavolo operatorio, e qui sottoposto alle diaboliche attenzioni di un medico che poco o nulla deve saperne di deontologia professionale.

Bisturi alla mano, il dottore incide la carne del malcapitato e comincia ad eviscerarlo, frattaglia dopo frattaglia, scavando in quell’agglomerato di muscoli e tendini alla ricerca di un cuore o di un fegato… e il tutto senza nemmeno il beneficio di un’anestesia!

Anche se gli effetti speciali non fanno gridare al miracolo, le silenziate grida di dolore del giovane e le avide mani guantate che esplorano gli anfratti sottocutanei di quel misero corpo sono sufficienti a cacciare qualche sano brivido di raccapriccio lungo la schiena.

Ad assistere all’agonia di questo agnello sacrificale è stata chiamata la ragazza di cui prima: la meschinetta, tenuta ferma dal suo carceriere, è costretta a guardare ogni istante della terrificante operazione, un po’ come accadeva alla protagonista dell’Opera di Dario Argento.

E invece noi, che potremmo distogliere lo sguardo in qualunque momento, rimaniamo fermi a osservare la scena, ludicamente disgustati e colpevolmente esaltati da questo moderno show di grand guignol.

Morbosa curiosità? Catartica cura per un po’ di sadismo latente? Forse. Ma in fondo, non è proprio per questo che ci piacciono i film horror?

CANNIBAL CORPSE. DAVID BRODSKY. 2021.

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