
POLLO LESSO E ALTRE METAFORE DELLA NOSTRA ESISTENZA.
Sono abile, capace, geniale, furbo, incredibilmente brillante. Nessuno se ne accorge, nessuno mi apprezza. Il capo non mi dà la possibilità che merito, i colleghi mi disprezzano ingiustamente e anche tu che dici di amarmi non mi sai ammirare, ma io valgo. È che se avessi più soldi, più fortuna, più tempo… è che se avessi anch’io una possibilità, una famiglia ricca, le conoscenze giuste… è che io devo vivere al di sotto delle mie capacità perché se alzo la testa il destino mi punisce.
Già, perché lamentarsi è un’arte che abbiamo affinato con cura. È quello che sappiamo fare meglio e che ci siamo esercitati a fare per tutta la vita. Siamo bravissimi nel sollevamento del peso esistenziale più grosso e siamo bravissimi nel lancio dell’invidia.
Corriamo piano perché siamo zoppi anche se le nostre due gambe sono perfettamente a posto.
È in questa cornice che Lou Reed ci regala un capolavoro di autoironia e poesia con “Modern Dance”, un videoclip che è una metafora crudele e ingegnosa della nostra eterna insoddisfazione.
In un piccolissimo ma bel teatrino, si apre il sipario su una scena vuota se non per un enorme pollo al centro che non è altro che un Lou Reed mascherato come per una festa per bambini: canta con placida malinconia. Mentre scorre la musica, due ballerine con l’aria da soubrette e abiti che richiamano le città citate nel testo, entrano in scena con movenze sensuali e girano intorno al pollo Lou Reed mentre lui, impacciato, prova a danzare. Ma è goffo, fuori luogo, tristemente consapevole della propria condizione.
Con l’avanzare della canzone, le ballerine cambiano costume: ora sembrano parigine, graziose e affilate. Tutto va avanti come un piccolo varietà per uno spettacolo di provincia finché con la stessa calma, si trasforma in una farsa sempre più crudele. Le ballerine iniziano a spennare il pollo, una piuma alla volta, mentre lui, inerme, non reagisce. Alla fine, nudo e sconfitto, il pollo viene messo in un pentolone. Le ballerine preparano il brodo, Lou Reed canta, e noi assistiamo impotenti. Una metafora perfetta e spietata dell’impotenza di chi non sceglie, di chi si lascia vivere, aggrappandosi a un’insoddisfazione che diventa alibi per non agire.
Non importa se sei Lou Reed, non importa se sei un ricco miliardario ben in vista che vive di canzoni. Quando viene, viene e la depressione, l’insoddisfazione, disillusione e rimpianti corrodono come acqua acida o una goccia che scava nella roccia.
Il video si chiude in modo trasversale e con un vago (ma non troppo) sentore di speranza. Il pollo, spennato e lessato, torna ad essere come all’inizio, piumato, ancora se stesso e come per rivalsa o per stanchezza, si toglie il mascherone pennuto, spogliandosi del personaggio. Quindi torna ad essere se stesso nel bene e nel male e con un’aria affranta ma ancora vivo e non lessato, esce di scena per tornare alla sua vita…
Qui abbiamo un Lou Reed cresciuto e poetico che con una specie di tormentone della canzone: maybe… maybe…, esprime un forte desiderio di fuggire dalla propria vita quotidiana e come dicevamo, questo è un perfetto disegno di come spesso ricerchiamo un cambiamento e una speranza che un nuovo ambiente possa portare una maggiore soddisfazione, ma per il quale non faremo nulla, non agiremo, continueremo a sperare dal bordo del nostro divano guardando la nostra vita come guardiamo avventure alla televisione.
Il video è una perla di semplicità teatrale: una camera fissa, una scena minimale, pochi oggetti scenici perfettamente calibrati. Ricorda uno spettacolo di teatro di figura, di quelli che si vedono nei piccoli teatri di provincia, con quella malinconia un po’ polverosa ma incredibilmente evocativa. E Lou Reed, con il suo stile buffo e autoironico, si prende gioco di se stesso e di noi, rendendo il tutto irresistibile.
Lou Reed ci ha mostrato molte facce nella sua carriera, dalle più eccessive e ciniche alle malinconiche e poetiche. “Modern Dance” è un esempio del suo genio, capace di trasformare un atteggiamento assurdo e banale in una riflessione universale sulla nostra condizione umana. E, diciamolo, un po’ ci manca. La sua capacità di mettere in scena la vita con cruda eleganza, senza mai prendersi troppo sul serio, è un dono raro.
E allora eccoci qui, spavaldi e arguti, pieni di idee magnifiche. Unici e insuperabili ma che un destino infame ci imprigiona e ci imbriglia: come si fa coi figli, col lavoro, la moglie, una mamma vecchia da accudire, pochi sodi, il mondo contro e cattivo… maybe… che polli che siamo!
LOU REED. LOU REED. 2000.