
LO SPAZIO NASCE DAL MOVIMENTO.
Lo spazio è lo spazio. Lo so che ovunque esiste il mondo: atomi, particelle, energia e onde, ma niente di percepibile finché dentro non c’è qualcosa che lo percorre. Lo spazio (chiaramente all’occhio e alla razionalità) non esiste senza il movimento. Pensiamo a una stanza vuota: quattro pareti, un soffitto, un pavimento. Esiste, certo, esiste nella sua limitazione, ma all’interno? Da parete a parete? È inerte, sospeso, privo di vita. Poi entra un corpo in movimento, e d’un tratto lo spazio prende forma, si modella, si dilata, si contrae. Il movimento è la matita che disegna lo spazio, lo scolpisce, lo trasforma in qualcosa che prima non c’era. Nella danza, il corpo diventa uno scalpello che crea istanti e immagini irripetibili, un’opera d’arte che si consuma e rinasce a ogni passo.
Sono poche le cose più affascinanti di un corpo che si muove. Sono poche poi le cose più affascinanti di un corpo che si muove con grazia e potenza. Nella danza, il corpo diventa una scultura vivente, un insieme di linee, curve, tensioni e slanci che si susseguono in un flusso continuo. Ogni movimento è una pennellata su una tela invisibile, un colpo di scalpello su un blocco fatto d’aria. Il danzatore è un demiurgo che crea spazi laddove c’era solo vuoto. “Virtual Insanity” cattura questa bellezza, facendone il cuore pulsante del videoclip.
Il video di “Virtual Insanity” sembra giocare con la percezione dello spazio e del movimento in modo quasi magico. Il pavimento si muove? Il blocco invisibile di spazio si sposta e cammina? Ai nostri occhi c’è un movimento innaturale e anti intuitivo dove in modo rivoluzionario la realtà sconfessa la propria stabilità, la propria monolitica stasi e ci dà una sensazione di fluttuazione della materia. La realtà è ancora più sorprendente: il pavimento è fermo, mentre sono le pareti e la telecamera a spostarsi. Un’idea geniale, nata da tentativi e ipotesi diverse: prima si è pensato a un pavimento mobile spostato da impianti idraulici: troppo costoso! Poi si è virata l’idea su effetti digitali con scarsi risultati e poi la la soluzione perfetta. Un trucco scenico semplice, ma incredibilmente efficace, che trasforma una stanza in un universo fluido, un palcoscenico in continuo mutamento.
Al centro di tutto, lui: Jay Kay, frontman dei Jamiroquai, danzatore nato. Il suo modo di muoversi è ipnotico. Movimenti difficili, posizioni innaturali, interpretate con grazia e recitate con divertente enfasi. Movimenti che in questo caso si integrano perfettamente con lo spazio mutevole che lo circonda. Scivola, salta, si inclina con una naturalezza incredibile, come se lo spazio fosse il suo strumento musicale e il suo corpo la melodia. Il suo stile è particolare ed unico: una fusione di jazz dance, street dance e pura espressione fisica che rende il video un’esperienza visiva davvero davvero attraente.
Non sorprende che “Virtual Insanity” abbia ricevuto una pioggia di premi, tra cui quattro MTV Video Music Awards nel 1997, incluso il prestigioso riconoscimento come “Video dell’anno”, “Miglior regia”, “Migliori effetti speciali” e “Miglior arte in un video”. Riconoscimenti meritati per un’opera che ha ridefinito il concetto di videoclip musicale, dimostrando che la danza, quando incontra il genio visivo, può diventare qualcosa di più di una semplice coreografia: può essere un’esperienza estetica totale.
Guardare “Virtual Insanity”, a me ogni volta dà un piacere agli occhi e all’anima. È il trionfo della danza come arte, come creazione di spazio, come trasformazione del vuoto in qualcosa di vivo e pulsante. E alla fine, rimane una sola certezza: che meraviglia muoversi, che meraviglia danzare, che meraviglia essere vivi.
JAMIROQUAI. JONATHAN GLAZER. 1996.
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