SCENARI DI INEDITI TORMENTI.
Un’impressionante scenografia retrofuturistica in cui il/la musicista venezuelana si immerge facendo “quasi passivamente” da cavia tra un rogo da inquisizione ancora fumante,
bracci meccanici in un’algida sala parto e sculture dal fascino inquietante che rimandano all’estetica di Chris Cunningham o Matthew Barney. In contesti sontuosamente apparecchiati, in un breve lasso di tempo Arca veste (si fa per dire) i panni di figure archetipe, partorite da una mente che va ben oltre il cyberpunk, ostentando una meta-sessualità “deturpata”
da strani congegni meccanici, fantasiose protesi e abbellimenti posticci che nella loro esagerazione stigmatizzano il concetto di perfezione a tutti i costi.
Una venere tutt’altro che botticelliana, con relativa conchiglia fluttuante su un cimitero sommerso, minacciata da robotiche fiamme ossidriche; una puerpera siliconata in balia di un armamentario chirurgico ipertecnologizzato, o ancora, nella sequenza finale, la stessa protagonista sdoppiata litiga con un altra sè tra le fiamme, nella sguaiata pantomima bene vs male, degna delle peggior telenovelas latinoamericane.
Questa è la sfrontatezza barocca, il kitsch concettuale di Arca (realizzato con la complice genialità di Heyman): tomar o dejar!
ARCA. FREDERIK HEYMAN. 2020.
bello agghiacciante!