THE COMMUNISTS HAVE THE MUSIC/ THEY MIGHT BE GIANTS (DAVID PLUNKERT)

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DADA E’ MORTO. W DADA!

Il video The Communists Have the Music, è un classico dei The Might Be Giants con i loro agganci melodici e sonorità alternative rock per le quali la band è rinomata da moltissimi anni. Questa loro modalità di assecondare quanto “Potrebbero essere giganti”, la si evince sin dal fatto che ascoltando le parole, non puoi fare a meno di pensare a certe cose che accadono oggi, mentre il video ti ricorderà cose viste molti anni fa, quando ancora si studiava storia dell’arte a scuola! Il video eseguito dal team di animazione di David Plunkert (l’artista pluripremiato, illustratore della famigerata copertina di Trump / KKK nel New Yorker) è infatti, in perfetto stile dadaista e in quanto tale segue passo passo le parole del cantante che raccontano quanto si senta alienato dal mondo e quanto non gli riesca di essere imparziale con le sue varie autorità. La sua curiosità per “le condizioni della classe operaia di Engel” (cito testualmente) viene prontamente ammutolita dalla situazione di fatto e di fronte a questa società atomizzata e autoritaria che è intollerante alle idee eterodosse, tutto ciò che il cantante vuole è fuggire nella sua musica. Insomma, questa canzone, convinta che I comunisti abbiano la musica, è la storia di un uomo che parla di comunismo semplicemente perché essendo incapace di essere sociopatico ha deciso di dedicarsi alla musica.

Dall’altra parte c’è il video che come Dada, anch’esso non significa nulla. Eppure… esattamente come spiegò Tristan Tzara il nocciolo del discorso è sempre lo stesso. Ancora oggi cioè il diritto di voto è al centro del sistema politico. Ciononstante, elezione dopo elezione – specie in quelle americane -, ampie fasce di elettori idonei, in particolare i giovani e le comunità di colore, siedono in disparte, con potenziali gravissime conseguenze. David Plunkert lo sa benissimo e il suo impegno come illustratore potrebbe essere, a prima vista, esattamente come quello di un artista dadaista. Fate un giro tra le sue copertine per il Newyorker, Time, The Wall Street Journal, e aggiungete il lavoro per istituzioni come la George Washington University e canali televisivi come MTV e Nickelodeon e vi accorgerete che abbiamo a che fare con un illustratore acquisito da musei e collezionisti, presente in numerose mostre internazionali proprio per questa sua capacità di essere un critico osservatore del mondo, impegnato nella tecnica del collage, come se fossimo alla metà degli anni Venti.

Il testo della canzone fa riferimento al fatto che il cantante sembra disinteressato a far avanzare la sua ideologia sugli altri, preferendo ascoltare la sua musica privatamente con le cuffie. Non è un ideologo: non è costretto al comunismo per ragioni intellettuali. Piuttosto è quell’estetica musicale che risuona sulla band a livello emotivo. Dopotutto lo dicono nel testo: “non ho bisogno di una logica per cantare l’Internazionale” ma che la cosa sia avvertita come pericolosa lo si capisce dalla difficoltà di trovare il loro materiale facilmente accessibile su internet. Chissà che non sia anche dovuto al fatto molto interessante di rifiutare categoricamente il pensiero della filosofa russa Ayn Rand che io invece conosco oggi, solo grazie a wikipedia. Madre dell’individualismo a oltranza, esule negli anni Trenta nell’America maccartista, la Rand collaborò attivamente con quell’esasperata contrapposizione politica ai filo-comunisti, coniando il termine Oggettivismo. Il testo della canzone fa il suo nome per dirci che la band non è ovviamente d’accordo con ciò che ha scritto sull’egoismo razionale.  E sinceramente, fa un certo orrore che ammirata attualmente dagli anti abortisti e dagli omofobi, parlare di lei oggi definendola come ispiratrice di un’ideologia dal sapore “così blando” non può che placare il normale sconcerto nel sapere che Donald Trump – delle cui letture sono profondamente scettica – nel 2016 l’abbia nominata sua filosofa preferita!

Meno male che la musica è estranea a questo mondo! Forse non dobbiamo che definirla anche noi “comunista” specie se ci dà il senso e lo scopo della vita che la band fatica a trovare altrove. Insomma, pare evidente che questa canzone non abbia nulla a che vedere con i meriti e demeriti del comunismo. È solo la storia di come giovani alienati e soppressi dal mondo, trovino conforto nella musica. E conforto visivo negli stessi volti attorcigliati e in quei medesimi uomini robotizzati che leggevano poesie incomprensibili in un cabaret svizzero intorno al 1917.

insomma, Dada non significa niente perché il mondo non significava più niente. Ma il video ci assicura che non possiamo più usare i verbi al passato. La grafica sprezzante e diretta di questi omini che si muovono nello spazio come piccoli automi ci rende conto del fatto che il nostro mondo non significa più niente e lo fa in modo brillante e forte, perché nel suo aspetto concettuale ci rimanda a quel contesto artistico e filosofico e a quel lavoro sull’assurdità che in realtà finì per significare tanto.

Dada ha sfidato la prima guerra mondiale, offendendo tutto ciò che l’aveva preceduta. Con le sue urla, con i suoi giochi e le sue assurdità, con i suoi attacchi all’ordine borghese, l’arte fu consacrata come uno sputo e così abbandonò il suo status di divertimento per le classi abbienti. Nella sua versione tedesca, con Raoul Haussmann, Hannah Höch, Kurt Schwitters o John Heartfield tra gli altri, il dadaismo si è chiaramente posizionato a sinistra e ha denunciato direttamente, in particolare Heartfield, il percorso che stava prendendo la società tedesca tra le due guerre. Le tecniche del fotomontaggio e del collage divennero, attraverso la satira e le analogie dell’uomo con la macchina, il mezzo ideale per catturare visivamente l’immagine senza concessioni a ciò che la violenza aveva fatto della vita.

Esattamente come suggerisce il video e come dovremmo fare oggi, W DADA!

THEY MIGHT BE GIANTS. DAVID PLUNKERT. 2018

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